VENEZIA – La Vlora, orgoglio della Marina mercantile albanese, trasportava zucchero cubano quando ventimila persone, uomini e donne, in qualche caso bambini, se ne impossessarono al porto di Durazzo e costrinsero il comandante a fare rotta verso l’Italia nel caldo agosto del 91. Ecco perché La nave dolce è il titolo del documentario di Daniele Vicari alla Mostra fuori concorso. “Ma ‘dolce’ è anche la libertà che quei migranti sognavano e immaginavano”. E che fu negata loro inaugurando la triste pratica dei respingimenti. A ventun anni da quei fatti il regista di Diaz ha voluto raccoltarlo in un film, prodotto da Indigo Film, Apulia Film Commission e Rai Cinema, che sarà distribuito da Microcinema dall’8 novembre. Una narrazione serrata che alle straordinarie immagini di repertorio tratte dall’Archivio centrale statale di Tirana (ma anche dalla tv locale Telenorba) accosta le testimonianze in prima persona di albanesi e italiani, tra questi Eva Karafili, Kledi Kladiu, il famoso ballerino di Amici, eletto testimonial dell’Unicef che salì sulla Vlora a 17 anni, e Nicola Montano, all’epoca ispettore della polizia di frontiera del porto di Bari e autore del libro “Ladri di stelle. Storie di clandestini e altro”. Il documentario, con la fotografia di Gherardo Gossi e le musiche di Teho Teardo, narra anche il clima sociale e politico che portò a quell’esodo biblico e ricostruisce l’incubo di un viaggio infernale, per il caldo, la sete e il sovraffollamento, ma soprattutto denuncia le azioni del governo italiano che, impreparato allo sbarco, decise di rinchiudere i ventimila nello stadio di Bari in condizioni igieniche spaventose e ben presto in mano a bande di criminali che gestivano a mano armata il cibo gettato dagli elicotteri. Mentre il sindaco della città Dalfino, che insisteva per creare una tendopoli, restò purtroppo inascoltato.
Partiamo dalle analogie con il suo ultimo film, “Diaz”. Anche stavolta il suo cinema denuncia una violazione dei diritti umani e un deficit di democrazia che ci riguarda come italiani.
I due film li ho elaborati parallelamente. Anzi, a La nave dolce stavo lavorando da prima che partisse la corazzata Diaz. E’ vero che la riflessione che è alla base dei due progetti è analoga. Nell’89, quando cadde il Muro di Berlino, cambiò il ruolo internazionale dell’Italia, ma i cambiamenti culturali sono più lenti. L’arrivo della Vlora rese evidente che, finito il blocco, l’Est aveva voglia di libertà. Ma la nostra reazione è stata di chiusura assoluta. Un governo profondamente in crisi, che l’anno dopo sarebbe stato travolto da Tangentopoli, e il presidente Cossiga mandarono laggiù l’esercito, trattando gli stranieri con ferocia e nonostante la città di Bari e il sindaco democristiano Dalfino in testa volessero l’accoglienza. A G8 di Genova nel 2001 è accaduto qualcosa di simile, perché una politica incapace di gestire i grandi eventi storici, ha fatto ricorso all’esercito, ma l’esercito può solo fare la guerra.
Lo stadio poi evoca altre violenze, dal Cile al Velodromo di Parigi.
Lo stadio è un universo concentrazionario. Con quella scelta si voleva mandare un messaggio chiaro: non venite in Italia.
Il coinvolgimento della Apulia Film Commission è forte, tra l’altro Antonella Gaeta è cosceneggiatrice del film.
E’ stata la Film Commission ha pensare a un film sulla Vlora per il ventennale dello sbarco, ma Antonella Gaeta un anno e mezzo fa era lungi dall’esserne la presidente. Lei ha contribuito a cercare i testimoni. Non volevo fare una fredda analisi di un fatto storico e ho cercato persone capaci di narrare a ruota libera. Abbiamo scelto i più emozionanti.
Fa star male vedere quelle immagini.
Ci fa bene guardarci dall’esterno, perché spesso non amiamo il nostro paese quanto lo amano gli stranieri che, sebbene rimandati indietro, sono tornati come Kledi. Abbiamo la responsabilità di dare a tutti, noi compresi, il diritto al sogno e alla cittadinanza. La Corte europea ci ha condannati per gli accordi sui respingimenti con la Libia e siamo colpevoli delle morti in mare. Non mi sta bene come non venivano accolti e come non vengono accolti oggi i migranti, ma anche l’Europa ci deve aiutare perché noi ne facciamo parte, anche se come paese frontaliero siamo più esposti e siamo i più vicini all’Africa. C’è un paradosso europeo da risolvere, ma intanto dico che siamo tutti Kledi Kadiu, un ragazzino che fu respinto e che sognava un futuro migliore. E poi bisogna ricordare il passato: io sono il primo della mia famiglia a non emigrare, lo ha fatto mio nonno minatore in Belgio e lo ha fatto mio padre che è andato a lavorare in Svizzera. Forse dovrà farlo mia figlia un domani.
Il documentario ha uno spazio importante in questa Mostra, fuori dagli steccati e dalle riserve indiane.
Ringrazio Barbera che ha scelto di ospitare molti documentari nella selezione ufficiale. E’ un passaggio storico: il documentario ha riconquistato la rilevanza che aveva in passato. Lo dimostra Cesare deve morire dei fratelli Taviani che ha un impianto documentaristico. Eppure Joris Ivens aveva detto ai Taviani che l’avevano aiutato a girare L’Italia non è un paese povero: ‘lasciate perdere, non fa per voi’.
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