Quarta volta al festival di Cannes per Daniele Luchetti, la seconda in concorso dopo quella del 1991 con Il portaborse e l’ultima tre anni fa con Mio fratello è figlio unico a Un Certain Reard. “Fa molto piacere esserci perché Cannes è un posto molto serio dove, come accade in Francia, il cinema è molto amato ed è visto come una parte importante e indispensabile della vita di una nazione. Purtroppo ci presentiamo a questi festival – afferma Luchetti – con i pochi film che produciamo in Italia, andiamo a festeggiare le politiche culturali degli altri Paesi che producono meglio e di più, non perché abbiamo meno talento, ma perché noi registi siamo meno aiutati”.
La nostra vita, prodotto da Cattleya e Rai Cinema in sala il 21 maggio con 01 Distribution, è uno squarcio amaro e duro sul nostro Paese, senza moralismi e attraverso il personaggio di un proletario incapace di ascoltare il cuore e i sentimenti, di confrontarsi con il dolore.
La trama originale costruita dal regista insieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia, non più tratta da un libro come per Mio fratello è figlio unico, è semplice ed essenziale.
Un convincente Elio Germano è il 30enne Claudio, operaio edile che perde improvvisamente l’amata Elena (Isabella Ragonese) e si ritrova con tre figli da accudire e un dolore immenso che rimuove lavorando tanto con l’unico obiettivo di accumulare soldi e comprare. E’ il risarcimento che esige da una vita che non è stata generosa con lui. La perdita della moglie, che in fondo rappresentava il suo orizzonte morale, coincide così con l’incapacità di stare bene e vicino ai figli e soprattutto con l’avventura pericolosa di un affare più grande di lui che lo costringerà a chiedere aiuto a familiari e amici (Raoul Bova, Stefania Montorsi, Luca Zingaretti). Il paesaggio è quello della periferia romana, con i nuovi quartieri in costruzione e i cantieri con manovalanza straniera in nero.
Si racconta poco l’Italia di oggi nei film?
Per tanti anni abbiamo vissuto nel mito dei registi che immaginano, che forzano la realtà per dimostrare che sono dalla giusta parte e allora tutto è costruito in funzione di una tesi politica. Oppure per farci sorridere con personaggi buffi e divertenti, cioè la commedia. Tutti i film raccontano l’Italia di oggi, ma pochi rinunciano all’effetto drammatico o commerciale. Io ho cercato di avere uno sguardo il più neutro e limpido possibile.
Claudio per lei chi rappresenta?
Un italiano come tanti, che fa cose disoneste, imbroglia e sfrutta gli altri. Quando raccontiamo un personaggio diverso da noi, cerchiamo sempre di dimostrare un assunto politico, se lui avesse studiato, se la società non fosse ingiusta… Io ho evitato tutto questo e ho provato a raccontare questo personaggio stando dalla sua parte. Questa è una delle idee forti dell’opera. Claudio all’inizio aveva delle idee politiche che esprimeva, poi ho scelto di non legare il film troppo all’attualità, che non fosse pro o contro, ma che avesse una valenza universale.
Ha voluto di nuovo accanto a sé Elio Germano?
Abbiamo scritto il copione pensando da subito a Elio. Con lui si può spingere e chiedere molto, ti puoi permettere cose impossibili con altri. Come nella scena del funerale in cui canta “Anima fragile” di Vasco Rossi. E’ interamente improvvisata, il copione la prevedeva diversa, ma grazie ad Elio l’ho indirizzata tutta verso le emozioni, senza scivolare in una recitazione eccessiva e ricattatoria. La sfida per Elio è stata anche quella di un personaggio che è il suo opposto, lui che ha una grande correttezza morale e etica.
Perché una storia sul proletariato?
Per tanto tempo abbiamo avuto i poveri più belli del mondo nel nostro cinema, penso al neorealismo. Mi sono chiesto sono diventati più brutti loro o noi non siamo più in grado di vederli. Ho visto queste periferie che sono interessanti come prima, solo il nostro sguardo si è distratto. Ho trovato un mondo ricco che mi appartiene perché ho quelle origini, un mondo che ho potuto vedere allo stesso livello. In passato il proletariato è stato raccontato dall’alto in basso con la commedia, perciò divertente e ignorante, oppure al servizio di un teorema politico. Io l’ho raccontato senza manipolazioni, né celebrandolo né condannandolo, come si trattasse di noi.
Ma il proletariato è cambiato?
Ha l’illusione di avere gli stessi beni di chi ha tanti soldi. Oggi chi guadagna poco ha apparentemente lo stesso genere di consumi dei ricchi: i centri commerciali, i televisori al plasma, la vacanza in Sardegna.
Il film parla senza retorica della solidarietà della famiglia, degli altri?
C’è una rete allargata di rapporti che aiuta Claudio, circola molta affettività nel film. Quando in Israele ho accompagnato il mio precedente lavoro, incontrai lo scrittore Abraham Yehoshua che mi disse che il tema meglio raccontato in Italia è la famiglia.
Il giovane rumeno è un attore professionista?
No, è preso dalla strada. E’ un personaggio importante, in fondo ha il ruolo dell’analista, è l’unico che dice la verità, che mette Claudio di fronte al suo dolore ineluttabile.
Si è preparato girando per cantieri?
Sì, ho toccato con mano le condizioni di lavoro, mi sono accorto che non si parla mai di sindacato, di sicurezza, si cerca di fare il più in fretta possibile per guadagnare tanto, risparmiando i soldi dei contributi e non pagando le tasse. Ho anche utilizzato veri operai come nel caso della scena di ‘quelli di Frosinone’ ch arrivano con le loro Mercedes. Si tratta di vere squadre d’emergenza che lavorano in nero giorno e notte quando vengono chiamate per rispettare i tempi di consegna di un palazzo appena costruito.
Il ministro Sandro Bondi ha declinato l’invito a partecipare al festival di Cannes esprimendo “rincrescimento e sconcerto” per la partecipazione del documentario “Draquila” di Sabina Guzzanti “una pellicola di propaganda, che offende la verità e l’intero popolo italiano”.
C’è un equivoco di fondo: quando un film racconta le vicende di casa nostra e lo fa con libertà ed arte, per i politici, lo dicono da cinquant’anni, è lavare i panni sporchi in piazza. In realtà noi diamo un bellissimo spettacolo, quello di artisti che non hanno paura del potere.
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