Era in predicato per Cannes, ma pochi giorni prima del festival l’annuncio – “il film non è pronto” – ha fatto aumentare l’attesa. Ora Storia mitologica della mia famiglia, che nel frattempo ha cambiato titolo in Anni felici, sembra lanciato verso la Mostra di Venezia. Per raccontare, trasfigurandola, l’avventura di una famiglia che ruota intorno all’ingombrante ego del padre artista, Daniele Luchetti ha scelto Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti, a cui ha affidato il difficile compito di rappresentare i genitori visti attraverso gli occhi di un bambino. Alla presentazione del listino 01 per il 2013-2014, il regista ha raccontato la genesi del film.
Luchetti, come nasce Anni felici?
Dal desiderio di raccontare la mia famiglia. Sono partito da molto lontano perché con Mio fratello è figlio unico ho raccontato la famiglia di qualcun altro, ovvero di Pennacchi, poi ho iniziato ad avvicinarmi al contemporaneo facendo La nostra vita e raccontando la famiglia di un vicino di casa. Alla fine ho capito che la cosa che mi interessava era provare ad avvicinarmi alla mia, di famiglia, e dire per la prima volta “io”.
E come ha affrontato questo racconto intimo?
Ovviamente raccontare la storia della propria famiglia significa adottare delle censure, delle autocensure, degli schermi. Questa è una storia mitologica, è tutto reinventato per cercare di dire la verità: i fatti sono quasi tutti falsi, ma i sentimenti sono tutti veri. Ho cercato di arrivare a una mia verità.
Che mondo sentimentale mette in scena il film?
Questi due personaggi che sono ispirati a mio padre e mia madre rappresentano, tutto sommato, anche alcune coppie che io conosco o di cui ho fatto persino parte. Due persone attratte eroticamente in maniera molto evidente e fortemente dipendenti uno dal corpo dell’altro, uno dai ricatti dell’altro, dove lei non riesce a farsi accettare da lui perché lui è un artista che non vuole accettare di essere in una famiglia. Un artista che si sente limitato nella sua libertà dall’avere un amore, qualcuno che ti segue e ti scodinzola accanto. Vorrebbe fare l’artista dannato ma gli si presenta la moglie con i figli. Il film racconta essenzialmente questo conflitto. Il punto di vista è quello del bambino con la voce dell’adulto, un punto di vista maturo perché vede cose che il bambino non ha visto e cerca un distacco e del senso in quello che dice.
Vedremo Anni felici alla Mostra di Venezia?
Ancora non lo sappiamo, perché per i miei due film precedenti abbiamo avuto grosse vendite estere e credo che produzione e distribuzione potranno decidere se mostrare il film in un festival con un mercato internazionale ampio… perciò bisognerà valutare se Venezia è adatta in questo senso, o vedere se c’è qualche altro festival più consono, come ad esempio Berlino.
Come spera che venga accolto?
Spero che abbia un rapporto sano con il pubblico, che parli alla pancia e al cuore della gente. Anche se ci ho trafficato tanto e ci ho fatto intorno tanti lavori di astrazione, è un film estremamente semplice che parla al cuore di chiunque è stato genitore, figlio e si è trovato in una coppia in cui si è sentito allo stesso tempo incastrato e libero.
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