“Domani termino il missaggio”. Dopo quattro anni di assenza il figlio artistico di Moretti, Daniele Luchetti, racconta il suo nuovo Dillo con parole mie, commedia scritta insieme all’attrice Stefania Montorsi e Ivan Cotroneo. “La pellicola sarà distribuita nelle sale da Medusa verso la metà di marzo”, racconta il regista. Intanto il trio sta già preparando Il dono di Gabriel, tratto dal romanzo omonimo di Hanif Kureishi (sceneggiatore di My Beautiful Laundrette) pubblicato in Italia da Bompiani: “La storia è ambientata a Londra ma io sto tentando di spostare le location a Roma, nei cosiddetti luoghi degradati della città. Vorrei girare nelle zone dove abitano varie etnie, Piazza Vittorio per esempio”, racconta Luchetti.
Di cosa parla “Il dono di Gabriel”?
Al centro della storia è il rapporto fra un quindicenne dalle ineguagliabili doti artistiche e il padre, Rex, ex bassista fallito di un gruppo rock che, nonostante i suoi sforzi, dimostra di non possedere alcun talento. Il figlio, pur avendo particolari capacità espressive, rallenterà la propria crescita artistica per non doversi confrontare con la figura paterna. Ivan (lo sceneggiatore, ndr.) ha curato la traduzione del romanzo di Kureishi. Iniziamo le riprese ad ottobre 2003.
“Dillo con parole mie”, perché questo titolo?
Megghy è una quattordicenne che vuole perdere la verginità. L’adolescente riceve la prima educazione sentimentale dalla zia Stefania, una donna matura che ha appena rotto una relazione amorosa con un uomo, mentre sono in vacanza sull’isola di Ios. La piccola corteggerà Andrea, l’ex uomo della zia, utilizzando le parole e gli insegnamenti di Stefania. Megghy è una messaggera d’amore involontaria, una sorta di specchio realistico dei due adulti. Né Stefania, né Andrea si riconosceranno nelle parole di Megghy.
Ha utilizzato un budget di 3 milioni di €?
Sì, molto meno di quanto mi fu accordato per Piccoli maestri: 6,5 milioni € circa. Quando si ha a disposizione un certo budget ci si lascia prendere la mano e così il tuo film viene influenzato nello stile.
E infatti tra “Piccoli maestri” e la nuova pellicola ci sono stati 4 anni di silenzio.
Piccoli maestri si è rivelata una piccola catastrofe dal punto di vista emotivo. Avevo investito molto in quella pellicola, gli stessi produttori mi avevano portato a crederci, e invece il film è andato male sia dal punto di vista critico che commerciale. Dopo quella esperienza, ho cercato di ricominciare scrivendo diversi copioni. Stavo per realizzarne uno in particolare, ero perfino arrivato alla preparazione, ma si trattava di una sceneggiatura troppo pretenziosa e troppo poco ambiziosa: l’ho lasciata nel fondo di un cassetto. Mi ha “salvato” mia moglie Stefania: ha scritto il soggetto di Dillo con parole mie, l’ho incoraggiata a cercare un produttore e poi uno sceneggiatore. Il risultato è stato un copione che mi ha convinto. Dillo con parole mie è un modo per rompere il ghiaccio dopo l’autocensura alla quale mi sono costretto.
Nel 1999 però lei ha realizzato il documentario “Dodici pomeriggi”: dodici ritratti a giovani artisti, pittori e scultori di arte contemporanea. Stava indagando su nuovi possibili linguaggi?
Noi autori di cinema tentiamo sempre di trovare delle contaminazioni artistiche per il nostro mestiere. A un certo punto, negli anni ’70, si pensava che il cinema avesse abbandonato la strada della narrazione, poi si è ritornati a quella. L’arte contemporanea ha battuto molte vie, più volte prima del cinema per una semplice questione cronologica. Ma la contaminazione che cercavo aveva a che fare più in generale con la creatività. Il rapporto che ognuno di questi artisti ha con la sua immaginazione, la condivisione di problemi tipo: quando si ha una buona idea come si fa a non rovinarla.
“Dodici pomeriggi” è stato girato in Dvcam. Ha mai pensato girare il nuovo film in digitale?
Ho sperimentato questa possibilità ma al momento, se vuoi realizzare un buon prodotto digitale, i costi si equivalgono e il peso della macchina produttiva è lo stesso. Si dice che Stanley Kubrick abbia girato Eyes wide shut con una troupe di 18 persone: se fosse vero vorrei poter fare lo stesso. Ma il regista, per terminare il film, ci ha messo due anni. Bisogna il più possibile contare su una maggiore libertà creativa quando si gira un film, ma l’ipotesi di una realizzazione a bassissimo costo e in tempi ragionevoli non è ancora percorribile. Avrei voluto far costare ancora meno questa mia nuova commedia.
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