Cinema della solitudine è la definizione più prossima alle storie narrate e allo stile del 37enne Daniele Gaglianone, in passato sceneggiatore e aiuto di Gianni Amelio per Così ridevano. Dopo i due anziani dell’opera prima I nostri anni, alle prese con la memoria forte e viva del loro passato da partigiani ma isolati e dimenticati nell’Italia contemporanea, Gaglianone volge lo sguardo alle solitudini di 2 adolescenti, Alessandro figlio di una ragazza madre e Ferdi con padre alcolizzato, sullo sfondo di una precaria periferia. Nemmeno il destino è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Gianfranco Bettin, scrittore e saggista nonché consigliere regionale Verdi del Veneto, ma conserva quell’atmosfera di storia di una maturazione dolorosa. Costato meno di 2 milioni di €, prodotto dalla Armadillo Cinematografica di Arcopinto e Trezzini, insieme con la Fandango che lo distribuirà, il film partecipa ai Venice Days.
Perché ha scelto il libro di Bettin?
Mi ha colpito il vagare dei 2 ragazzi in una zona limite, sia esistenziale sia urbanistica. Ho pensato a un film sugli orfani, sui figli di persone che non sono e non hanno punti di riferimento.
Nel libro la storia si svolge a Marghera, nel film a Torino.
Ho evitato di rendere riconoscibile la città: è uno spazio concreto e nello stesso tempo irreale, uno scenario ex industriale. Non lo definirei post industriale, è un termine troppo accomodante. E una periferia dove si sente il retaggio della fabbrica, in una Torino piena di cantieri, in via di restauro o smantellamento. E poi interni claustrofobici, spazi provvisori che sono ibridi, campagna divorata dalla città… solo la montagna con la sua maestosità è eterna.
Chi sono questi adolescenti?
Spero che questi ragazzi sfuggano a qualsiasi tipo di cliché. Non sono dei ribelli, la loro è una refrattarietà al mondo che li circonda, violenta perché così percepiscono il mondo. Sono giovani alla ricerca di uno spazio mentale e fisico, non devono riscattarsi da nulla. Spesso non si ha la forza di lottare per cambiare tutto quello che attorno non va bene, e questi ragazzi cercano di salvarsi dal mondo. Alessandro alla fine acquisterà consapevolezza di quanto la vita sia dura.
Il film sembra lontanissimo dal suo esordio.
Apparentemente le due opere non hanno niente in comune, ma in verità i vecchi de I nostri anni sono stati giovani, o meglio erano dei giovani invecchiati presto, mentre Alessandro e Ferdi, nonostante la leggerezza tipica dei loro anni e la voglia di divertirsi, sentono il peso di un’altra età. In fondo loro sono Natalino e Alberto a 15 anni.
E torna la solitudine.
I nostri anni era anche un film sull’amicizia, questo è soprattutto sulla solitudine. Storie di persone sole, che hanno un modo solitario di vivere, che spesso è un’oasi dignitosa, in mezzo a questa frenesia futile. Una solitudine che deriva dal sentire che il proprio dolore non potrà essere condiviso da nessuno.
A parte Stefano Cassetti nel ruolo di educatore, perché di nuovo interpreti non professionisti?
Non teorizzo la scelta di non attori, ma non è facile trovare veri interpreti per i ruoli di questi adolescenti. Comunque Fabrizio Nicastro/Ferdi lavora nel cabaret, ma la regola generale sbagliata è che si diventa attore solo quando si è famosi.
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