“Cesare Moreno è diventato un maestro, anzi il maestro, uno dei più famosi di Napoli. Quando ci siamo conosciuti andava in giro con i sandali come un francescano, anche d’inverno. È vero che a Napoli non fa mai davvero freddo, ma una mattina presto aveva le dita viola, così ho domandato: scusa Cesare, ma perché? Ha risposto che è perché si sente abbandonato dalle istituzioni. Si sente ‘scoperto’. Con i suoi sandali va dai ministri, dai provveditori, dai giudici e dai presidi”.
E’ un estratto de “Gli ultimi della classe”, libro-testimonianza di Paola Tavella al quale si sono ispirati Daniele Di Biasio e Andrea D’Ambrosio per realizzare Pesci combattenti, documentario vincitore del Premio Cipputi a Torino, prodotto da Indigo Film, Pablo e Eyescreen con il fondo di garanzia. Lucky Red lo distribuisce in due copie a Roma (Cinema Nuovo Olimpia) e Milano da oggi.
I “Pesci combattenti” sono alcuni ragazzi napoletani del distretto di Barra – San Giovanni a Teduccio dispersi dalle liste scolastiche del provveditorato agli studi, e coinvolti in “Chance”, un progetto di recupero didattico ideato e attuato da alcuni operatori sociali e professori. “Il problema principale di questi ragazzi è la difficoltà di concentrazione – raccontano i due cineasti – In questa scuola conducono diverse attività: dall’alfabetizzazione di base, a lavori di manualità specifici, come la falegnameria, il disegno, la danza fino ad una psicoterapia di gruppo settimanale”. Dunque una realtà dove tutti, studenti e professori, combattono l’emarginazione sociale. Proprio come quei piccoli pesci colorati, i Betta splendens (pesci combattenti), che attraverso un organo respiratorio specifico riescono a respirare fuori dall’acqua quando l’ossigeno diventa insufficiente sott’acqua. “Anche i nostri protagonisti – chiarisce Di Biasio – vivono in quartieri ad altissima densità di popolazione e lottano per avere più spazio”.
In questa scuola non si danno voti ma soldi…
Andrea D’Ambrosio: E’ un premio e allo stesso tempo è un tentativo di dare al denaro un valore positivo, che non sia legato solo ad affari sporchi. Questi ragazzi sono in contatto continuo con realtà criminali e lo scoglio più grande da superare è l’assenteismo dalla scuola. I professori così hanno scelto di non dare voti, ma “sì” e “no” in base ai quali viene conteggiata una “paghetta”. Se lo studente ha lavorato bene lo si premia con una somma maggiore, ma l’importante è che non scappi di nuovo dalla scuola.
Voi avete girato quasi esclusivamente all’interno della scuola.
Daniele De Biasio: Volevamo filmare questa realtà scolastica particolare dove non vengono effettuate vere e proprie lezioni, né rispettate precise regole. Inoltre non volevamo raccontare, come ha fatto Paola Tavella nel suo libro, le situazioni private dei ragazzi, realtà familiari e sociali terribili. Il loro disagio si esprime comunque attraverso le dinamiche che si compiono all’interno della struttura didattica.
Come siete stati accolti da loro?
Andrea D’Ambrosio: Bene. Abbiamo avuto la fortuna di arrivare all’inizio dell’anno scolastico, quindi i ragazzi ci hanno trovati già là. Erano convinti che le nostra riprese fossero parte del progetto “Chance”. Ci chiamavano “professori”. La dvcam è entrata in simbiosi con l’attività scolastica. Realtà di questo tipo possono essere oggetto solo di documentario: la fiction non riuscirebbe a raccontarle, le trasformerebbe subito in film tipo Io speriamo che me la cavo.
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