DANIELE CIPRI’ & FRANCO MARESCO


Sferzanti e viscerali, vere mine vaganti del cinema italiano, Daniele Ciprì e Franco Maresco sono tornati con un nuovo film, selezionato per ‘Controcorrente’. Omaggio ai B movies degli anni ’50, alla Palermo esoterica del ‘700, ad un’umanità in agonia, Il ritorno di Cagliostro, combina piani narrativi e formati diversi (dal cinematoscope all’8mm.), colore e bianco e nero, l’icona dell’horror anni ’80 Robert Englund (il Freddy Krueger della serie Nightmare) e il corpo feticcio di Pietro Giordano, il jazz classico e le musiche originali di Salvatore Bonafede.
Si apre con il ritrovamento di vecchie pizze (un film su Cagliostro interpretato da un star hollywoodiana in declino), chiave d’accesso all’utopia dei fratelli La Marca, produttori improvvisati che, a colpi di titoli improbabili targati Trinacria, dichiarano guerra allo strapotere di Cinecittà.
Insomma, un “oggetto bizzaro” costato 3 anni di lavoro e 1 milione e 600mila euro, celebrato dai “Cahiers Du Cinema” (Hélène Frappat ha dedicato un saggio critico agli autori di Lo zio di Brooklyn e Totò che visse due volte), che arriverà nelle sale dal 5 settembre distribuito dall’Istituto Luce.

Per Goffredo Fofi “Il ritorno di Cagliostro” è un “film patchwork”. Siete d’accordo?
E’ una definizione calzante anche se non ci appartiene fino in fondo. La prima ora del film è piuttosto classica, da pseudo documentario stile Zelig in cui si raccontano le vicende della Trinacria Cinematografica. Negli ultimi 30 minuti l’andamento tradizionale si capovolge e diventa più simile ai film precedenti. Lo spettatore deve essere pronto a questi sbalzi. Certo, è una pellicola più accessibile rispetto a Lo zio di Brooklyn e Totò che visse due volte. In apparenza è anche meno tragico, la malinconia si stempera negli aspetti più divertenti. Per la prima volta abbiamo usato il colore e c’è anche qualche apparizione femminile: la moglie di Errol Douglas, il divo sul viale del tramonto, che ricorda il passato. Ma la vera novità è l’alchimia tra attori professionisti e non: non a caso però abbiamo puntato su interpreti come Luigi Maria Burruano e Franco Scaldati che conoscono bene il teatro, la lingua e gli umori popolari. Poi c’è Robert Englund che forse per la prima volta non emerge come maschera ma come attore a 360 gradi, una sorta di Vincent Price ricco di umorismo e ironia.

“Il ritorno di Cagliostro” è un film dichiaratamente cinéphile …
La storia prende spunto dall’attività cinematografica, spesso fallimentare, realmente fiorita a Palermo negli anni ’50. Ci ispiriamo all’utopia della Panarea del principe Alliata che sperimentò tecniche di ripresa subacquea avanzatissime e produsse La carrozza d’oro, film di Jean Renoir interpretato da Anna Magnani. O, ancora alla O.F.S. che produsse un film di Pino Marcanti sui Beati Paoli, la misteriosa setta palermitana del ‘700. Poi ci sono riferimenti ai B movie dell’epoca. Omaggi al cinema popolare, alla fantascienza e all’horror, alla sceneggiata e al musical.

C’è una cesura rispetto all’estetica dei “malacarne” dei film precedenti?
Continuiamo a rifiutare il cinema occidentale dominante, tanto più quello italiano, morto da almeno 25 anni. Viviamo ancora in periferia, fuori dalle logiche del centro romano anche se in questo film l’esposizione del corpo, l’unica cifra dell’umanità, è meno traumatica. I volti appartengono al passato, ad un’umanità in via di estinzione. Sono quelli dei fratelli La Marca, perdenti, mascalzoni un po’ incapaci, quasi un omaggio all’imbecillità. Simbolo del fallimento della Sicilia come Hollywood mediterranea.

C’è un filo che lega i fratelli La Marca e Enzo Castagna, l’organizzatore di comparse protagonista del vostro documentario “Enzo domani a Palermo!”
Castagna è un personaggio discutibile ma con una grande dimensione umana e un’incontenibile carica di simpatia. Come i La Marca è un sognatore, elemento che apparteneva anche a produttori come Lombardo e De Laurentiis, pescecani ma ricchi di intuito, sensibilità e capacità di rischiare. Qualcosa che oggi nell’Italia del cinema inutile e della fiction televisiva non esiste più.

Com’è la Palermo di Cagliostro?
Palermo è presente nel linguaggio e nei corpi, ma il film è decisamente claustrofobico. Del resto non è più possibile amare Palermo e i suoi abitanti. Il nostro pessimismo verso la cosiddetta “primavera di Palermo”, verso l’indignazione nata dopo le stragi mafiose, è stato confermato. Dieci anni dopo l’assassinio di Falcone e Borsellino, la città e la Regione si sono consegnate a chi ha semplicemente cambiato bandiera, al centrodestra, in cui è confluita la peggiore politica collusa con la mafia. D’altra parte, i cosiddetti intellettuali e artisti si sono resi ignobilmente latitanti. Sciascia aveva ragione: la Sicilia è “una terra irredimibile”. Viviamo in una città dominata dalla sporcizia e dall’arroganza, senza senso dello Stato e del bene comune, votata al clientelismo e alla mentalità mafiosa. Siamo scomparsi dalla vita pubblica di Palermo, tra noi e la politica c’è un reciproco disprezzo. Ma continueremo a girare in Sicilia, tra le atmosfere e la lingua dell’isola.

Come commentate l’attenzione dei “Cahies Du Cinema”?
L’attenzione dei Cahiers ci onora, come la stima di Carmelo Bene, che in un’intervista all’Espresso, alla domanda “che cosa salverebbe dell’Italia” rispose “Ciprì e Maresco”.

autore
24 Agosto 2003

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