Il futuro, o meglio il rilancio del mestiere del critico cinematografico oggi in crisi? Ricomincia dalla proposta di una Giornata dell’orgoglio, magari in occasione della Mostra di Venezia 2015. E’ la provocazione lanciata da Federico Pontiggia (cinematografo.it) all’incontro promosso alla Casa del Cinema dal Sindacato Critici Cinematografici-Gruppo Lazio su ‘Vita, morte e miracoli di una figura professionale in evoluzione (o in estinzione)’.
“La verità è che il nostro è un lavoro ‘figo’, invidiato, scippato da esperti di altri settori, come accade spesso nella redazione di ‘Repubblica’. E poi perché alle proiezioni stampa hanno libero accesso anche i non giornalisti?”, aggiunge Pontiggia, in rappresentanza della critica in rete.
Dalle varie voci non emerge contrapposizione tra la critica cinematografica (c.c.) su carta e quella in rete, semmai accordo sul fatto che la c.c. debba essere “seria, indipendente e competente” (Federico Pedroni, cineforum.it), e su ciò che fa la differenza: essere buona o pessima. C’è anche un sostanziale accordo su ruolo e identità del critico. “E’ un interprete, un analista che riesce a restituire le note segrete di un film – dice Fabio Ferzetti (Il Messaggero) – il suo mestiere non può ridursi alla stroncatura. Il mio maestro? Serge Daney”. Lo cita anche Marianna Cappi (mymovies.it), “un traghettatore che prolunga il piacere estetico del film, scoprendo nuovi significati dell’opera”.
E c’è infine sintonia anche sul fatto che in rete la c.c. approfondita e autorevole ripercorre la stessa strada di quella cartacea, pur godendo del vantaggio della flessibilità, faticando a distinguersi dai tanti contenuti presenti nei social network.
Anche per Franco Montini è indispensabile che la c.c. sul web percorra nuove strade e richiama in proposito un puntuale articolo di Roberto Saviano sugli YouTubers, i talenti che dominano la Rete.Quanto alla c.c. cartacea Montini sottolinea come la riduzione degli spazi sui quotidiani vada di pari passo con la fine della specializzazione, per cui tutti possono fare c.c.
Il segno della crisi della c.c. per Emiliano Morreale è evidente nella tiratura media dei libri di cinema – da un minimo di 50 a un massimo di 500 copie – e nella crisi che attraversano case editrici di cinema come Il castoro. “Curioso è che nel tempo resistono nella memoria collettiva le recensioni di grande livello, firmate spesso da scrittori e uomini di cultura e non i tanti libri di cinema”.
La produttrice Francesca Cima, ripercorrendo le origini della sua passione per il grande schermo, chiede alla c.c. di essere attiva e presente nella vita culturale complessiva e nella formazione delle nuove generazioni. Laurentina Guidotti ricorda che i film piccoli hanno assoluto bisogno dei critici, che svolgono una funzione di filtro.
“Chiedere ad uno scrittore cosa pensa dei critici, è come chiedere ad un lampione cosa pensa dei cani”, da questo aforisma di John Osborne parte Cristiana Paternò per chiedere al regista Paolo Virzì quanto sia influenzato nel suo lavoro dalla c.c. “Noi autori facciamo finta che non ci importi e invece ci teniamo tantissimo. Un tempo litigavo, ora non più, ho un’umana compassione”. E Virzì pone l’accento su alcuni difetti della c.c.: l’autocompiacimento, certe classifiche con stellette che fanno un po’ adolescenti, recensioni di puro servizio, l’ignorare o sbeffeggiare il cinema popolare e di intrattenimento”.
Che fare allora? Forse ha ragione Giorgio Gosetti: più che chiedersi a cosa serve un critico, il quesito a cui rispondere è un altro: come il critico può fare bene il suo mestiere?
Tra gli altri interventi del convegno: Francesco Di Pace, Alberto Crespi, Paola Casella, Dina D’Isa, Anna Maria Pasetti e Alberto Anile.
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