CANNES – Esordio ultraviolento e disturbante per il concorso di Cannes 66 con Heli del messicano Amat Escalante (Sangre, Los bastardos) dove spira aria di provocazione, tanto più che il produttore è Carlos Reygadas. Ma se leggendo la trama sul catalogo (una ragazzina di 12 anni s’innamora di un poliziotto portando tragedia in famiglia) si poteva pensare a scandali di tipo sessuale, vedendo il film bisogna cambiare radicalmente rotta. Protagonista non è infatti la piccola Estela ma suo fratello Heli, un giovane operaio sposato e da poco padre che, a causa della relazione di Estela con un cadetto della polizia militare di poco più grande di lei, viene coinvolto in un regolamento di conti delle squadre speciali antinarcotraffico, in realtà deviate. Nessuna brutalità ci viene risparmiata e c’è persino una scena in cui danno fuoco ai genitali di un uomo dopo averli cosparsi di alcol al cospetto di alcuni bambini che continuano imperterriti a guardare la tv e i videogiochi. Con qualche eco del più crudo Brillante Mendoza (Kinatay), ma senza la sua pietas, anzi con alcune situazioni tragicomiche, uno stile scarno, una totale sfiducia nell’essere umano che sconfina nel nichilismo, due cani seviziati che ci saremmo volentieri risparmiati, Heli è il classico film da festival che può affascinare, ma più facilmente produrre totale repulsione.
E’ ambientato nella cittadina di Guanajuato, a cinque ore da Città del Messico, dove sorge una piccola industria della General Motors. “Una cosa importante – spiega il regista, schierato contro la globalizzazione – le persone sono andate ad abitare in questo paese proprio per la presenza di un’industria americana che dà lavoro, ma vivono in case improvvisate e in una grande promiscuità. L’ecosistema, il paesaggio, l’atmosfera del luogo si sono così modificati”.
Per quanto riguarda la violenza, Escalante spiega di non aver voluto sviluppare una tesi, ma raccontare piuttosto la dimensione psicologica, il clima di paura permanente. “In Messico tutti vivono con una forma di paura che ti prende alla pancia. La violenza è realtà di ogni istante, anche se non la si è vissuta direttamente”.
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