COSENZA – Non cerca di fare la morale nè di stabilire se la tecnologia sia buona o cattiva. Lettere dal deserto, documentario di Michela Occhipinti proiettato alla Primavera del cinema italiano (sezione indipendenti), non vuole giudicare niente e nessuno. Semmai vuol provare a portare lo spettatore in un tempo lontano, diverso, quando il modo di vivere era più duro, ma semplice, e l’aggettivo frenetico non veniva usato per descrivere uno stile di vita.
Passato in concorso in diversi festival internazionali, vincitore di premi importanti in almeno cinque di questi (Atene, Filadelfia, Los Angeles e Libero Bizzarri) Lettere dal deserto – elogio della lentezza è un film girato in India, tra e sabbie del Thar, nel Rajasthan occidentale, tra il 2008 e 2009, ed è il primo lungometraggio della Occhipinti, regista indipendente con un passato nel reportage che ha scritto, diretto e prodotto la pellicola. Protagonisti della storia il postino Hari e la variegata comunità di un villaggio indiano poverissimo e tagliato fuori dal mondo. Hari è l’unico contatto con il resto dell’India per gli abitanti: non si spaventa di camminare 20 chilometri al giorno tra il caldo torrido e le dune del deserto per consegnare lettere e pacchi. Legge le notizie ai molti destinatari analfabeti che incontra e spesso condivide con loro gioie e dolori.
Nato dopo un lungo viaggio in autobus fatto dalla regista nel 2003, il film prende spunto dall’inchiesta di un giornale francese sull’importante ruolo dei postini in zone sperdute dell’India. “Più che un documentario Lettere dal deserto è un docu-film – ha spiegato la Occhipinti a CinecittàNews – perchè buona parte della storia segue una sceneggiatura. Stando in India ho capito che non era il caso di provare a inseguire la realtà a tutti i costi. Non credo nel cinema verità, personalmente ho trovato la mia cifra stilistica nell’equilibrio tra gli elementi del documentario e quelli del cinema. Ad esempio ho guardato molti documentari anni Settanta girati nell’Europa dell’est per capire che tipo di fotografia volessi utilizzare. Non mi sono affidata al caso o alla luce naturale che potevo trovare”.
La regista che subito dopo Cosenza partirà alla volta del festival di Tel Aviv, lamenta una disattenzione cronica in Italia nei confronti del documentario e si dice esterrefatta di come l’essere indipendenti possa essere uno svantaggio quando si fa un gran parlare di tutela e circuitazione delle opere non mainstream: “In questo Paese non si può essere indipendenti e basta bisogna esserlo al punto giusto o non vieni preso in considerazione nemmeno dai festival che propongono prodotti alternativi. Una contraddizione che si vede solo qui”. Ma non alla Primavera del cinema italiano.
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