VENEZIA – Ripercorrendo le orme dell’omonimo romanzo di Fabrizia Ramondino, scritto a fine anni ’80, con Dadapolis la coppia di registi Carlo Luglio e Fabio Gargano firmano un imprevedibile ritratto di Napoli, catturata in un’antologia, a tratti onirica, di stili e voci. Un omaggio lirico, presentato in anteprima alle Giornate degli Autori di Venezia 81, ma anche un laboratorio a cielo aperto, che ha coinvolto decine di personalità tra artisti, scultori, intellettuali, religiosi, attori, musicisti.
Luglio e Gargano hanno scelto il porto di Napoli come punto fisso di un lavoro che segue il ritmo delle onde battute sulle barche ormeggiate, cambiando andamento e adagiandosi di volta in volta su messe in scena sempre diverse, dal videoclip all’animazione, passando per simposi imprevedibili e forieri di grandi citazioni. Tra sequenze emotive e surreali, dove abitano infinite bellezze e altrettante contraddizioni, il documentario trova l’anima Dada di Napoli.
“Inizialmente pensavamo di farne un Podcast”, rivela Carlo Luglio raccontando Dadapolis. “Da lì è nata l’idea di un documentario realizzato come un laboratorio dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove insegno da 15 anni”. Il libro della Ramondino è servito a spunto e controcampo della Napoli di oggi, ispirando gli autori all’utilizzo “del frammento e della polverizzazione”, quindi dell’antologia, per raccontare la città nel suo complesso. “Abbiamo coinvolto artisti in conversazioni lungo sette litorali diversi della città, creando una struttura libera ispirata a una visione caleidoscopica”.
Tra i molti temi affrontati dal documentario, ampio spazio è affidato alla Napoli del presente, sempre più protagonista di un turismo sfrenato. “Napoli sta vivendo una trasformazione profonda – spiega Fabio Gargano – e volevamo comprenderla con uno sguardo che potrebbe applicarsi a qualsiasi città in cambiamento”. La parola chiave è gentrificazione, ma anche overtourism. Termini nuovi, incastonati nella mitologia eterna di Napoli, dove c’è spazio per le figure religiose, quanto per le sirene, che di tanto in tanto fanno capolino nel film. “Ma quanti santi tiene questa città?”, si chiede a un tratto uno dei tanti volti del documentario.
Cristina Donadio, attrice partenopea coinvolta in prima fila nel progetto, pone l’attenzione sul disincanto che permea ormai la città. “Prima si esprimeva con la rabbia, oggi invece prevale la malinconia. La città è cambiata e, mentre tutti amano sempre di più questa Napoli superficiale e stereotipata, quando i turisti se ne vanno noi restiamo con le sue luci e ombre”.
Punto fisso di questa danza di corpi, voci e stili, è il mare. Campo e controcampo continuo, vero direttore d’orchestra della città, ma anche protagonista di un paradosso su cui Dadapolis non lesina riflessioni. “È paradossale che Napoli, una città di mare, abbia così pochi spazi accessibili ai bagnanti”, spiega Gargano. “Nel documentario raccontiamo questa contraddizione, riportando le lotte per rendere il mare accessibile e recuperare il rapporto della città con la sua costa”. Una battaglia che non riguarda solo la spiaggia in sé, anzi. “È una faccenda più ampia: significa restituire a Napoli lo sguardo verso l’orizzonte”.
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