“Ridare ottimismo all’immagine del nostro paese che negli ultimi tempi si era un po’ – per essere generosi – appannata”. E’ il primo motivo per cui i fratelli Taviani sperano che il loro Cesare deve morire abbia successo nel mondo. Ma lo sperano anche in nome dei loro “meravigliosi e terribili interpreti”, i carcerati di Rebibbia che “da questo film si aspettano di essere conosciuti fuori dalle mura della prigione, di essere ricordati da chi li ha dimenticati”. Paolo e Vittorio incontrano l’Ansa alla vigilia del rientro in Europa. A New York hanno presentato il loro film al Festival dove “la gente si è messa a piangere, per quanto è rimasta emozionata, e poi in molti hanno voluto scrivere lettere ai detenuti, che ci hanno chiesto di riportare in Italia”.
Selezionato a rappresentarci agli Oscar e già venduto in ben 73 paesi, Cesare deve morire uscirà il 6 febbraio a New York, Los Angeles e altre grandi città degli Usa sotto gli auspici di Adopt Film. A New York sarà distribuito al Film Forum, di Downtown, e al Lincoln Plaza, nell’Upper West Side, due templi del grande cinema d’autore. Dell’Oscar i Taviani non vogliono veramente parlare: “Vedremo. Che la scelta sia caduta su di noi ci ha fatto molto piacere, ma i giochi sono appena cominciati. Ci sono in gara, nella categoria del miglior film straniero, molti film importanti”.
Intanto però al pubblico americano del New York Film Festival Cesare è molto piaciuto a dispetto delle difficoltà di lingua (ma i sottotitoli sono stati fatti per dare il senso che gli interpreti parlano nel loro dialetto). Domenica nella grande Alice Tully Hall del Lincoln Center una lunga standing ovation ha accolto i registi sul palcoscenico dopo la proiezione: “La storia di Cesare è universale. ‘Anche tu Bruto, figlio mio’, evoca il rapporto terribile del figlio che uccide il suo quasi padre”, spiegano Paolo e Vittorio. “Un misto di documentario e fiction in cui i fratelli Taviani trapiantano l’artificio teatrale in un ambiente rigidamente controllato svela sia i partecipanti allo spettacolo che il dramma di Shakesperare”, ha scritto Richard Brody sul New Yorker, in un assaggio delle recensioni che accoglieranno il debutto del film nelle sale Usa. Intanto il cammino internazionale è appena cominciato e “noi lo seguiamo volentieri soprattutto per ‘loro’ che sono uomini vivi ma non possono uscire”. La prossima settimana i Taviani saranno a Annecy, poi a Gent per un premio alla carriera, Bruxelles, Parigi e Londra prima di tornare a novembre a Los Angeles.
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