VENEZIA – “Forse tu puoi uccidere la morte”, recita un passaggio del film, che a suo modo sintetizza il tema principe di White Noise – opera di Apertura della 79ma Mostra di Venezia, diretto Noah Baumbach, dal romanzo di Don DeLillo, che partecipa in Concorso. “DeLillo mi è sembrato famigliare. Ho letto il romanzo nel periodo coinciso con l’inizio della pandemia, era pertinente al momento storico, ma allo stesso tempo con le nostre vite. Lo scritto è una satira, anche del mondo accademico e di come abbia alimentato la cultura pop: lo studio di Hitler si livella a quello su Elvis, come se tutto avesse lo stesso peso”, spiega il regista.
“E se la morte fosse solo un suono?”, viene chiesto nel film da Jack, interpretato da Adam Driver, docente del College On The Hill, insegnante di Nazismo Avanzato, esperto sofisticato della biografia personale e politica di Hitler. Con la domanda, il collega (Don Cheadle) – esperto di Elvis, altro mito non distante da un ampio discorso connesso alla morte – allaccia subito il concetto di “white noise”, infatti il “rumore bianco” è quel rumore che contiene tutte le frequenze dello spettro del suono udibile, è un suono stabile e rilassante, come si presume sia il sonno dopo la fine terrena. Tanto che la risposta, del collega appunto, è “uniforme, bianco”. Tanto che “nel libro abbiamo visto la capacità di rendere il linguaggio della cultura pop anche in dialogo; abbiamo riflettuto su quello che ascoltiamo e non ascoltiamo. Ci sono sequenze in 35mm, per una vista più ampia: nel cinema possiamo lavorare sia sul visivo che sulle sensazioni. Dobbiamo riconoscere che vita e morte coesistano e così anche per la musica siamo passati dall’elettronica all’orchestrale, dal tono romantico al pulsante”, aggiunge Baumbach, che ha girato in Ohio: “Il romanzo ha luogo in un posto fittizio, ma mi dava l’impressione di essere un luogo del Mid West. Il downtown di Cleveland è bellissimo: è uno Stato bellissimo ma al contempo selvaggio. L’Ohio è un posto particolare e fantastico dove girare, molte comparse sono reali di lì. Un’esperienza che mi ha permesso di portare la comunità nel film”.
Jack è un padre di famiglia, marito di Babette (Greta Gerwig), insegnante di ginnastica, e insieme sono genitori di quattro figli: tra loro Denise, 15/16enne interpretata da una convincente May Nivola, la prima a rendersi conto che la mamma assuma abitualmente ma segretamente una pasticca, Dylar il nome del farmaco, e nasconda meticolosamente libri a soggetto esoterico e sull’occulto. La ragazzina informa Jack e da qui s’innesca una graduale – forse un po’ prolissa – “ricerca” del lato oscuro di questi segreti di Babette, e – al contempo – s’inanellano una sequenza di eventi naturali prossimi al catastrofico, come la formazione di una nube tossica, che costringe tutti i cittadini dell’area americana in cui vive la famiglia a fuggire sulle proprie automobili, incanalati in interminabili code, con destinazioni incerte o precarie da cui riprendere a fuggire. Finché “la calma dopo la tempesta” ritorna, e non a caso s’ambienta spesso nelle corsie colorate e piene di abbondanza culinaria e commerciale di un supermercato, a suo modo specchio di un’energia transitoria ma pulsante che tiene in vita l’essere umano.
Per Adam Driver, “sono personaggi ben definiti: molti materiali del libro sono stati editati da Noah. C’è una grande teatralità in alcuni momenti. È un processo teatrale ma condensato: lo stile e il tono sono di Baumbach. Ma ci sarà poi anche il punto di vista del pubblico, un altro ancora. Inoltre, ci sono scene con un sottotesto, su cui noi abbiamo lavorato e approfondito”.
“Il rileggere il libro fa rendere conto che abbia una qualità particolare nel linguaggio, che costringe ‘ad ascoltarlo’, come se la scrittura avesse una qualità performativa: al tempo stesso emotiva e intellettuale. Nel mondo del romanzo i personaggi sembravano più astratti, ma le molte prove che abbiamo potuto fare hanno permesso diventassero molto altro, oltre le idee scritte”, racconta Greta Gerwig.
L’alternarsi di buio – anche fotografico, ricorrente – e di luce, corre parallelamente a delle sensazioni – al limite tra il reale e l’incubo onirico – che Jack prova, soprattutto nelle fasi di sonno ma non solo, “premonizione” della via finale della vicenda, spassosamente e intensamente incarnata da Mr.Gray, ovvero Lars Eidinger, in un addentrarsi progressivo nell’ossessione di Babette di morire e morire prima del marito. E a questo proposito s’inserisce il riconoscere una regia con sequenze ricercate: “Io ero un adolescente negli Anni ‘80, il momento della mia formazione cinematografica. La Storia del cinema USA è stata importante: penso a De Palma, a cui si diceva che usasse delle cose ‘alla Hitchcock’ e invece non è così, perché la verità è che Hitchcock ci ha reso delle cose disponibili, così come io ho sfruttato tutto un Noir Anni ‘80”, continua Baumbach.
Non secondario nel racconto l’ingresso della Fede, presente con la figura di una suora di origine tedesca, votata alla cura degli esseri umani, un contatto col Sacro onestamente pragmatico, in cui la stessa dice di non credere al Paradiso, ma che il credere sia necessario per l’umanità per non far crollare il mondo. “La famiglia è la culla e il film tratta il modo in cui cerchiamo rituali per rinviare la morte, che a volte però ci cerca e non sappiamo come reagire. Ho visto questo messaggio nel romanzo: l’opportunità per far avvicinare sempre di più la famiglia”, conclude il regista.
Il film esce dal 30 dicembre su Netflix.
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