CANNES – Sono stati i Cuori Ribelli (Ron Howard, 1992) a portare per la prima volta a Cannes (Fuori Concorso) Tom Cruise, 60 anni a luglio.
L’esordio cinematografico lo deve a Franco Zeffirelli, era l’81 quanto Cruise apparse per la prima volta sullo schermo cinematografico in Amore senza fine, ma la sua relazione con il cinema, che definisce “un privilegio”, in fondo inizia “a 4 anni e mezzo, quando mi lanciai dal tetto di casa con un lenzuolo, rovinandomi la faccia, pensai mia mamma mi volesse uccidere; volevo pilotare aerei, desideravo fare spettacoli folli, scalare, poi ho cominciato a scrivere storie immaginando personaggi differenti. Dopo, a 18 anni, è stata la mia prima volta su un set: ero interessato a capire tutte le professioni del set e ho avuto la fortuna di avere a che fare con persone molto generose, che mi hanno fatto capire cosa fosse meglio per me. Non volevo fare film solo negli Stati Uniti, ma anche all’esterno, per un confronto con altre culture cinematografiche. Desideravo studiare i differenti stili, così come ho studiato l’evoluzione del cinema, sin da Chaplin e Buster Keaton”, spiega l’attore, protagonista a Cannes 2022 di un Rendez-Vous pubblico, nella gremita Salle Debussy, un migliaio di persone circa.
Thierry Frémaux – delegato generale del Festival – ha introdotto Cruise usando parole di grande celebrazione, a riconoscimento soprattutto di una carriera che non ha risentito di “alti e bassi”, ma capace di stare sempre al massimo livello: un tributo audiovisivo di quasi dieci minuti ha fatto scorrere dinnanzi agli occhi della platea una storia cinematografica lunga ormai quarant’anni, capace di passare dal film in costume alla scalata del Burj Khalifa, dall’affiancare Dustin Hoffman al pilotare un F/A-18, il velivolo protagonista di Top Gun: Maverick (leggi l’articolo), in anteprima a Cannes e dal 25 maggio al cinema.
Tom Cruise arriva sul palco cannoise accolto da un caldo applauso e schermi di cellulari sull’attenti, per immortalare il momento, tanto che Frémaux chiede di appoggiarli per poter applaudire con ancor maggior trasporto: in fondo è un mito – lui e/o i suoi personaggi – per il pubblico, soggetto a cui l’attore destina, a più riprese, le sue parole: “È meraviglioso essere in sala con voi, è molto importante per me: amo il pubblico e faccio i miei film per il pubblico, per voi”. È felice di essere finalmente in una sala (dopo il periodo limitante della pandemia), infatti: “Lo schermo unisce tutti per condividere un’esperienza, non solo per intrattenere le persone. Ho cominciato a produrre film per la libertà di poter fare ciò che desideravo: è difficile ma meraviglioso; una ‘missione possibile’, che si fa nel nome della bellezza del cinema. Io vado sempre in sala quando escono i film, indosso un berretto e mi siedo tra il pubblico. Tutta la vita ho guardato i film dal punto di vista del pubblico e ho passato molto tempo con i proprietari delle sale. Conosco il business del presente (dice in riferimento alle piattaforme), ma per me non accadrà mai: io quando faccio un film lo faccio per la sala, solo lì si possono apprezzare. I miei film sono guidati dal senso che un’équipe crei qualcosa, ho studiato i diversi punti di vista – dalla macchina da presa alla fotografia, etc – per esplorare le sfumature dei personaggi: sono molto riconoscente ai talenti e alle équipe incontrerete, è un’opportunità lavorare con registi meravigliosi, ma altrettanto con tecnici meravigliosi, così Jerry Bruckheimer e Tony Scott”, regista di Top Gun (1986), film che ha lanciato Cruise nel firmamento del cinema.
“Sono interessato a studiare i differenti approcci artistici, non può esserci un film se non è un ‘nostro’ film, qualcosa a cui tutti contribuiscono: il cinema è il mio sogno e vorrei continuare per il resto della vita, semplicemente questo. Penso fossi destinato a fare questo e ho donato la mia vita al cinema, a cui sono grato, è un privilegio”. Cruise racconta che da quando ha cominciato a “18 anni mi son detto che avrei fatto tutti i differenti film possibili, dalle differenti soggettive, e mi sono sempre posto per fare meglio”, un’affermazione che ha in sé il senso del futuro, infatti riflette: “Le generazioni cambiano, perciò bisogna capire la funzione dell’arte. Dall’Asia all’Europa, viaggio e studio le reazioni, per capire come funzioni la comunicazione. Nella mia vita ho spesso viaggiato non come turista, ma per professione, volendo incontrare gente e culture differenti. E spesso riguardo indietro, come le fotografie della prima volta a Cannes: sono sempre da percorrere tutte le vie possibili, soprattutto è importante incontrare la gente, infatti anche la promozione è meravigliosa, seppur spesso sia velocissima, ma posso guardare i film con persone di altre culture. È magnifico” perché arrivare alla gente “è un’opportunità. Io adoro i film che faccio, e tutto comincia dalla materia prima, dal capire le competenze, ho una curiosità naturale per l’umanità, ascolto le esigenze delle persone”.
Il tono di Cruise si percepisce a più riprese come un po’ filantropico, a tratti terapeutico, lievemente evangelizzatore, di una generosità verbale professionalmente ineccepibile ma colta come “già scritta”, già decisa, senza margine per un sereno sconfinamento estemporaneo. Sfiora qualche titolo della sua florida carriera, accenna, ma non restituisce né l’aneddoto, né la densità, che la sala brama. Una delle poche sequenze soddisfacenti di questo Rendez-Vous arriva quando risponde alla domanda del giornalista che lo intervista e gli domanda perché nei suoi film desideri sempre rischiare in prima persona, questione a cui risponde dicendo che è “come chiedere a Gene Kelly: perché danzi?”. E, riferendosi in particolare a Mission Impossible, dice: “pilotare elicotteri, correre in moto, paracadutarmi… l’ho voluto fare da tutta la vita: al cinema, per donare al pubblico un’esperienza unica, così ho lavorato senza sosta. L’attore è anche presenza fisica in tutte le circostanze della scena: sono un esempio Keaton, Kelly, con la missione di raccontare una storia”.
Ancora, ricordando Eyes Wide Shut di Kubrick, riflette: “Esplorare il personaggio, ti fa elaborare il personaggio: abbiamo passato molto tempo a parlare delle soggettive, dei dialoghi, molte cose erano destabilizzanti. Stanley, Nic (Nicole Kidman, ndr) e io abbiamo trovato il tono giusto: l’essenziale per un film è la preparazione, così arrivi pronto alla camera da presa”.
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