Applausi convinti e nessun fischio per la prima volta di Cristina Comencini in concorso a Venezia con La bestia nel cuore, un film coraggioso e non facile per il tema trattato, quello della violenza sui minori all’interno della famiglia. Ma con la stessa delicatezza la regista racconta l’omosessualità femminile così poco rappresentata al cinema. Merito di una scrittura controllata, a metà strada tra la commedia e il dramma, che tiene a distanza toni melodrammatici e punte patetiche.
E merito della protagonista, Giovanna Mezzogiorno, che ci offre il ritratto di una sofferenza nascosta, trattenuta: “Ho cercato di restituire questa donna non combattiva che non lotta, s’adegua, s’accontenta di una vita normale. Ma per paradosso, proprio a lei che non cerca la rissa con la vita, è accaduto quel drammatico evento che ha rimosso”.
E merito ancora dell’interpretazione corale, in sintonia con la performance della protagonista, di Luigi Lo Cascio, Angela Finocchiaro, Stefania Rocca, Giuseppe Battiston e Alessio Boni.
Il film prodotto da Cattleya e Rai Cinema è da oggi in sala con oltre 260 copie.
Sette film e quattro romanzi in passato, perché solo con “La bestia nel cuore” ha deciso di mischiare le due carriere?
Non sempre letteratura e cinema si sposano bene insieme. Questa volta è accaduto qualcosa di meraviglioso perché i personaggi del libro sono densi e concentrati come il cinema richiede. Possiedono un’intensa attività emotiva e dunque per gli attori si presenta una grande occasione. Del resto faccio questo mestiere per girare con gli attori, quasi ci fosse un’invidia per il loro mestiere. E poi la trama di questo mio romanzo è compatta nei luoghi e nel tempo, a differenza di un altro mio romanzo “Il cappotto del turco” che trasferito sul grande schermo correva il rischio di essere un “polpettone” dato che copriva, parlando della nostra generazione, un lungo arco temporale.
Il suo film è qualcosa di più di una denuncia delle violenze sui minori.
La violenza sui bambini, l’abuso di un corpo piccolo e indifeso, è sempre esistita. E’ quell’esercizio del potere che è stato in passato norma. Quando il libro è uscito sono stata sommersa da lettere struggenti, spesso si trattava di situazioni “border line”, non di molestie sessuali manifeste. La vicenda che racconto riguarda tutti, perché la seduzione del bambino, della giovane donna, appartiene nel bene e nel male all’umanità. L’individuo adulto deve sapere che c’è un limite da non oltrepassare, perché in quel “desiderio” c’è la possibilità di ferire l’altro. In passato c’erano delle grandissime infelicità che venivano celate, il nostro tempo ha invece come caratteristica il fatto che ciascuno di noi cerca dei rapporti di verità, anche se ciò rende tutto precario e instabile.
Ha rinunciato a qualche scena nella versione per la sala?
Ho il rimpianto di aver tagliato due scene che ritroveremo nel dvd e forse nella versione televisiva. Quella in cui il regista/Giuseppe Battiston spacca tutto nello studio televisivo perché usciva fuori dal registro narrativo. E poi ho tagliato, solo 10 giorni fa, la scena dell’acqua, costata soldi e tempo, inizialmente inserita nella sequenza di lei partoriente sul treno, che travolge la casa dei fantasmi. C’era un compiacimento registico, mentre il film non si affida a metafore ma è sempre ancorato ai personaggi.
E quella rappresentazione grottesca del lavoro in televisione grazie al personaggio del regista?
Sono arrabbiata, da molto tempo in silenzio, perché il patrimonio artistico del cinema è stato buttato via per essere soppiantato da una brutta televisione, da una brutta fiction, a parte qualche eccezione, che avvilisce la messa in scena.
Di qui, nel film, la citazione fotografica dei nostri grandi registi come Fellini, De Sica, Pasolini?
Il nostro cinema è grandissimo e non è stato difeso. Prima di tutti ho messo Fellini perché è stato un regista libero, non ideologico e anticonformista, che ha creato un modo di raccontare adatto al cinema.
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