BERLINO – “Ho scelto Riccardo Scamarcio, dopo averlo visto in Mio fratello è figlio unico, perché è un ottimo attore e dall’inizio alla fine recita quasi solo con gli occhi”. E’ un po’ italiana la chiusura di questa edizione della Berlinale, con il nostro attore protagonista della favola di Costa-Gavras, che comincia come l’Odissea, in pieno Mar Egeo, e diventa una versione contemporanea del Candide di Voltaire. Come sintetizza il regista greco, fiero oppositore del regime dei Colonnelli, da tempo naturalizzato francese, anche lui un emigrante, come Elias. Elias è un giovane senza passaporto e senza identità che da una carretta del mare sbarca in un Club Med e viaggia poi verso Parigi con tutti i mezzi. Qualcuno lo aiuta – soprattutto donne – qualcun altro lo imbroglia e lo deruba. Tutti sono colpiti dal suo fascino, dal suo mistero, che forse proviene solo dal suo essere un bell’estraneo che parla appena un po’ di francese appreso su un vecchio libro di scuola. “Se avessi scelto un attore brutto mi avrebbero accusato di razzismo”, dice ancora il regista, premio Oscar per Z l’orgia del potere, che l’altro ieri ha compiuto 76 anni. L’anno scorso era presidente della giuria berlinese, stavolta gli tocca la chiusura del festival. Verso l’Eden, coproduzione tra Francia, Grecia e Italia con Juliane Koelher, Ulrich Tukur, Eric Caravaca, Anny Duperey, uscirà il 6 marzo nel nostro paese con Medusa.
Costa-Gavras, lei ha detto che “Verso l’Eden” è un film molto personale, anche se non autobiografico. In che senso?
Nel senso che l’avventura degli emigrati che lasciano patria e famiglia andando verso luoghi sconosciuti e tradizioni diverse, un po’ mi appartiene, anche se in modo diverso da come la vive il personaggio. Questo è il dramma della nostra epoca. E con la diffusione della povertà nel mondo sempre più persone vorranno venire in Occidente.
In Europa, e in particolare in Francia, è in atto una caccia agli emigrati?
Sì, una vera caccia. Confermata dalla recente decisione della Commissione Europea di rimpatriare i clandestini. In tutte queste risoluzioni non viene mai detto che la dignità delle persone deve essere rispettata. Il film vuole essere quasi una parabola. Nel villaggio turistico la caccia all’uomo diventa un gioco di società, eppure la cosa è seria: in Francia anche chi aiuta un sans papier è perseguibile.
Durante il suo viaggio Elias incontra molte persone che vogliono sfruttarlo, come oggetto sessuale o come lavoratore irregolare e schiavo, oppure semplicemente derubarlo.
Certo, chi non ha documenti è molto fragile e può essere sfruttato in tutti i modi, anche sessualmente. Pur di restare accetta e noi occidentali ne approfittiamo.
Perché Elias non ha nazionalità?
Non ho voluto dargli una storia e un retroterra in un singolo paese. Volevo vedere Elias come un essere umano, perciò anche la lingua che parla con i suoi connazionali è inventata.
Perché iniziare la storia da un villaggio vacanze?
Perché è un finto paradiso dove le persone spendono molti soldi per trascorrere le vacanze. Ma l’Occidente non è un paradiso, anche qui ci sono molti problemi: l’indifferenza, la solitudine.
Cosa può fare la società civile per il problema dell’immigrazione?
Innanzitutto non vederlo come un problema e spingere i governi a cambiare atteggiamento. Il 35% dei francesi hanno origini diverse, si tratta di 20 milioni di persone oggi integrate nel nostro paese. Tutte le società hanno avuto questo tipo di scambi e in futuro ci saranno ancora più flussi migratori. Io mi identifico nella signora borghese che regala una giacca a Elias, ma senza farlo entrare nel suo appartamento. Lo aiuta, ma solo fino a un certo punto, però lo fa con umanità e gli dà una chiave per integrarsi, perché gli suggerisce che con quella giacca troverà un lavoro. Volevo raccontare anche questo e non solo il razzismo o lo sfruttamento o la paura degli immigrati come persone pericolose diffusa da politici come Le Pen, che una volta ha detto “se tutti gli stranieri venissero in Francia, saremmo in breve tutti mulatti”.
Ha pensato all’Odissea, scrivendo il film con Jean-Claude Grumberg?
Elias non è Ulisse che torna a casa ma è un uomo che viaggia in cerca di una nuova casa. Tuttavia entrambi vivono situazioni comiche, drammatiche e anche sessuali. L’Odissea è un punto di partenza, in mezzo c’è Voltaire e alla fine c’è il Chaplin di Tempi moderni.
Lo scorso anno lei era presidente della giuria che ha premiato con l’Orso d’oro “Tropa de elite” di José Padilha, che molti hanno contestato perché sembra avvalorare la brutalità della polizia brasiliana.
Non sono d’accordo, secondo me quel film è al contrario un attacco contro l’uso politico della polizia e sul fatto che abbia mano libera e non debba rispettare le leggi democratiche. Per noi giurati questo era chiarissimo. Ed è per questo che l’abbiamo premiato insieme a Standard Operating Procedure di Errol Morris, che denuncia gli abusi di Guantanamo.
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