Per lui un gruppo di ragazze ha appena devastato una libreria di Firenze costringendolo a usare uno stratagemma per fuggire indenne. Stefano Accorsi, da ragazzo Maxi Bon a Coppa Volpi, dall’Ultimo bacio a Un viaggio chiamato amore. Idolo delle teen agers ma capace di calarsi nelle intemperanze di un poeta paranoico, ossessionato dal sesso, frainteso dai contemporanei. “Mi piace cambiare”, ci aveva detto qualche giorno fa proprio qui al Lido. Ma anche, sdrammatizzando, “per trasformarmi in Dino Campana è bastato farmi crescere i baffi”.
Eppure, pare che per convincere Michele Placido a sceglierlo fosse disposto a tutto. “Sapevo che lavora con gli attori in modo notevole”. Glielo aveva raccontato Giovanna Mezzogiorno, la sua compagna fino a qualche mese fa, che a Placido doveva il bel ruolo di Del perduto amore. Stefano ha voluto ripetere l’esperienza: e di Campana non sapeva nulla. “Se non quello che scrivono le antologie del liceo, Campana: poeta notturno”. Poi l’aveva conosciuto attraverso il libro di Vassalli, le note dello psichiatra che l’ebbe in cura, l’epistolario della passione con Sibilla Aleramo. Nei suoi mutevoli stati d’animo, capaci di sfumare dall’adorazione alla ripulsa tra la mattina e la sera. “Lo definisco geniale, romantico e violento… pazzo mi sembra riduttivo. Però camminava come un pazzo”.
Del film, spiaciuto a metà della critica, aveva pensato: “E’ un film in costume, ma senza la museruola. C’è sesso, violenza, ben poco di formale. Anche il set non è stato tranquillo, ci sono stati litigi, emozioni”. In quegli eccessi, confessa Accorsi, con la solita aria da bravo ragazzo, ognuno di noi può riconoscersi. “Anch’io ho dovuto fare i conti con la mia gelosia. Avevo 16 anni, era la mia prima storia d’amore”. Il pubblico, dice, risponde proprio a queste grandi emozioni, il film è secondo al box office. “Di solito la gente diffida dei film in costume, ma stavolta ci sono personaggi in carne ed ossa e questo spiega il successo”.
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