E’ tra i pochissimi paesi europei a registrare un segno meno. L’Italia, nell’anno cinematografico 2000 festeggiato dal resto d’Europa come un anno straordinario, persino più positivo del “mitico” 1998 di Titanic, ha portato a casa una flessione dell’1% nel numero degli spettatori: 97.819 presenze contro le 98.772 per un incasso lordo pari a 515.708 euro contro i 516.811 del ’99.
Sono questi i primi, più appariscenti dati sul consumo cinematografico che emergono dal decimo Annuario Statistico del cinema europeo, redatto da MEDIA Salles e presentato ieri a Roma, nell’ambito di Eurovisioni, il festival internazionale di cinema e televisione che ha intitolato il programma 2001 “Vent’anni dopo: Diversità e Globalismo”. “L’Annuario analizza la fruizione e distribuzione cinematografica in 32 paesi, 18 dell’Europa occidentale e 14 compresi tra Europa dell’est e bacino mediterraneo” ha spiegato Elisabetta Brunella, segretario generale di MEDIA Salles. “Si tratta di un mercato di 29mila sale in un’area che copre l’Islanda la Turchia e le Repubbliche Baltiche e vanta nel 2000 970mila spettatori complessivi: 870mila nell’Ovest, che saluta il 2000 come una stagione molto positiva (+4%), e 96mila negli altri paesi, dove si registra invece una flessione del 3% delle presenze”.
L’Italia, accanto a Danimarca, Portogallo e Islanda, deve mettere agli atti un leggero calo, probabilmente già smentito dai dati del 2001. Le sale complessive del nostro paese sono 2.216 (erano 2.259 nel ’99) per un totale di 2.948 schermi (erano 2.839 nel ’99), ma dove i multiplex (sale con minimo 8 schermi) sono solo il 7% contro il 44% del Belgio, il 35% della Spagna, il 24% della Francia e il 53% del Regno Unito. Segno che il mercato italiano delle multisale è senz’altro espandibile (a Roma, venerdì prossimo s’inaugura il primo megaplex nostrano, un complesso Warner Village di 18 sale con tanto di bowling, pattinaggio, videogiochi, cibo e music store), ma non che necessariamente – lo sottolinea Joachim Wolff, economista e coordinatore dell’Annuario – “con l’aumento della densità degli schermi aumenta la frequenza degli spettatori, anzi, troppe sale possono generare un dato negativo, gli Stati Uniti insegnano: con l’aumento del 33% degli schermi il numero delle presenze è diminuito del 22%”.
I film prodotti nel 2000 sono stai 103 (erano 108 nel ’99), ma nei cinema i film che hanno visto gli spettatori sono stati, ancora una volta, soprattutto americani: le quote di mercato dei film nazionali è stata infatti del 17%, di quelli europei dell’11% e dei film Usa di circa il 69%.
Per combattere questo stato delle cose, Gaetano Stucchi, relatore del gruppo di lavoro sul cinema a Eurovisioni, esortava l’Europa e i singoli stati membri “ad adottare una visione globale dell’audiovisivo, che tenga conto delle dimensioni culturale, industriale, commerciale e economica di una industria complessa. Priorità assoluta è riuscire a valorizzare la materia prima del cinema, ossia la creatività, in un’azione politica comunitaria di circolazione e penetrazione dell’opera europea sia verso l’Europa che verso gli altri mercati”.
La risposta del governo italiano, presente all’incontro nella persona del sottosegretario ai Beni e le Attività culturali Vittorio Sgarbi è “l’invito a superare la dicotomia dominante nel cinema italiano tra mercato maligno e artista umiliato. Credo in un mercato senza troppi cappelli culturali alla Unesco” ha detto “che metta ina tto meccanismi di protezione e diffusione di prodotti dall’identità nazionale e regionale molto precisa in un’Europa ancora tutta da fare”.
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