“Dio vi sta avvisando… fareste meglio a dargli ascolto!”
Con questa frase ad effetto arriva alla Festa del Cinema di Roma il remake televisivo del classico Django – western cult di Corbucci interpretato da Franco Nero – diretto, almeno per i primi episodi, da Francesca Comencini, con Matthias Schoenaerts come protagonista.
“Django – dice l’attore – è un uomo in crisi, e questo ne fa la grandezza. Forse è l’ultima occasione che ha di mostrare al mondo chi sia veramente”.
E’ un “riprendiamoci quello che è nostro” dopo l’altrettanto mitica versione ‘blacksploitation’ di Quentin Tarantino del 2012. Dieci episodi da sessanta minuti ciascuno, ambientati tra il 1860 e il 1870, che ampliano il concept dell’originale partendo dalla stessa iconica immagine: uno straniero misterioso che si trascina dietro una bara nel deserto.
Dentro di essa, un micidiale mitragliatore, arma al tempo utilizzata ma non proprio comune. Una specie di superpotere, che ha fatto la storia. Dopo il primo film del 1966, una pletora di epigoni – tutti chiamati Django, tutti sconnessi dal capostipite – e un seguito ufficiale, Django 2 – Il grande ritorno, diretto da Nello Rosselli nel 1987 con un occhio all’emergere dello stalloniano Rambo e del suo seguito che divenne tormantone: Rambo 2 – La vendetta.
E ora la serie Sky Original (con Cattleya, Atlantique e Canal +) che nel cast vede anche, tra gli altri, Noomi Rapace, Vinicio Marchioni e Manuel Agnelli. Comencini inizia con una dichiarazione a sostegno di “Mahsa Amini – la 22enne curda morta tre giorni dopo il suo arresto per non aver indossato correttamente il velo – e di tutte le ragazze e i ragazzi che in Iran stanno lottando per la libertà”.
“Questo progetto mi ha catturata fin da subito, anche grazie a personaggi femminili estremamente forti – prosegue poi – Django offre un nuovo e interessante punto di vista sull’idea di mascolinità nel genere western. È una storia universale che celebra la diversità e le minoranze. Sono sicura che incuriosirà e affascinerà gli spettatori di tutto il mondo. I western con cui sono cresciuta erano una grande favola per adulti che riuscivano a trasmettere uno spirito indomito di rivolta che hanno avuto un gran ruolo nella mia formazione di ragazza ribelle. La nostra tradizione western è leggendaria, l’abbiamo rispettata ma parlando del nostro tempo. Abbiamo usato il sogno di cinema smisurato che è il western per parlare della nostra epoca, con grande protagonismo ai personaggi femminili, e per raccontare un anti-eroe con crisi intime, legate a una sfera affettiva. E’ una crisi che ha a che fare con i nuovi codici della virilità. E’ un mondo che ha paura delle diversità. C’è una villain femminile, una donna che diventa la guardiana di un ordine patriarcale. Si tratta di fare un’opera accattivante per raccontare personaggi che possono essere contraddittori, pur in un mondo che ha la pretesa di essere utopico”.
Rapace commenta: “Mi hanno creato una porta nuova, verso un personaggio estremamente complesso, abbiamo iniziato a scavare dentro di lei dalla prima chiamata, parte come persona cattiva, capace di incredibili violenze ed estremismi, ma man mano si comincia a capire perché è fatta così”.
Rispetto al rapporto con Tarantino parlano gli sceneggiatori Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli: “Ci siamo rapportati anche con il Django di Tarantino, perché anche quello, in maniera spettacolare, fa un racconto politico. Non uno statement ma una riflessione che parte dalla condizione della popolazione black dopo la fine della Guerra Civile e mette in scena personaggi che rispecchiano condizioni oggi ancora esistenti. Tarantino è chiaramente un riferimento, nel tentativo di cercare di trovare chiavi per parlare di problemi che sentiamo ancora più vicini, tra cui una contrapposizione forte tra identità e culture minoritarie e chi avverte questo elemento come il futuro, e chi invece pensa che sia una minaccia. Un’eterna contraddizione tra apertura e chiusura”.
TRAILER:
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