Capelli lunghi e scarponi slacciati, Colin Farrell si è presentato al Festival con un look che rispecchia la sua immagine da “selvaggio” per presentare Pride and Glory – Il prezzo dell’onore, poliziesco diretto da Gavin O’Connor in cui recita al fianco di Edward Norton che, invece, ad accompagnare il film non ci è venuto. Un classico film di genere di cui sono protagonisti assoluti la polizia di New York – quella “buona”, fatta di poliziotti onesti e convinti della loro missione, e quella “cattiva”, dove regnano la corruzione, la violenza e i traffici di droga – e la famiglia Tierney, composta da quattro agenti che a loro volta rappresentano le due facce della medaglia. L’uccisione in un agguato di quattro loro colleghi sarà l’evento che scoperchierà il sottobosco di corruzione in cui loro stessi sono più o meno consapevolmente invischiati. Nato dall’esperienza di vita del regista O’Connor, che ha un padre poliziotto proprio nel NYPD, Pride & Glory sarà in 270 sale dal 31 ottobre con Eagle Pictures. Il protagonista Colin Farrell, intanto, ha già girato altri due film – The Imaginarium of Doctor Parnassius di Terry Gilliam e il thriller Triage di Denis Tanovic – ed è sul set di un terzo: il fantasy Ondine di Neil Jordan, tutti in uscita nel 2009.
Farrell, questa non è la prima volta che interpreta un poliziotto. E’ un ruolo che ama particolarmente?
Negli ultimi dieci anni della mia carriera mi è capitato spesso di vestire i panni di qualche rappresentante della giustizia, il poliziotto, il soldato o cose del genere, e finisco sempre per ritrovarmi con delle armi in mano, cosa che non mi piace. In realtà non so perché accada, tra l’altro io non potrei mai fare il poliziotto e anzi, dopo Pride&Glory e Miami Vice vorrei appendere il cinturone al chiodo.
Il suo è un ruolo molto violento. C’è una scena particolarmente dura in cui minaccia un neonato con un ferro da stiro e un’altra in cui scatena il suo razzismo…
Sì, anche in In Bruges mi è capitato di essere violento con un bambino, di certo non potrei aprire un asilo… Riguardo al razzismo, sicuramente è molto presente in America, ma meno di quanto non lo fosse 5 o 20 anni fa, quindi andiamo migliorando. Ma credo sia una cosa insita negli esseri umani cercare le differenze nelle persone e fare cose orribili. Anche in Irlanda, il mio paese, il razzismo non c’era finché c’erano solo gli irlandesi, ovviamente. Ma poi quando hanno iniziato ad arrivare gli stranieri è esploso.
Come ha affrontato la preparazione del personaggio?
I poliziotti sono persone che vivono in un contesto ben definito, dove è chiaro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma possono esserci margini di dubbio che riguardano l’etica e la morale. In Jimmy Egan c’è il contrasto tra l’uomo che deve proteggere la legge e ciò che è lui nella realtà, cioè qualcuno che va contro le stesse istituzioni a cui ha giurato lealtà. Ho trovato difficile giudicarlo; come attore bisogna sempre trovare una giustificazione per le azioni del proprio personaggio, ed è proprio quello che ho cercato di fare: capire qual era il motivo del suo agire così.
Quanto ha influito sulla sua carriera l’accoglienza negativa di Alexander?
E’ un film che mi ha fatto molto male. Sono stati criticati sia il film che la mia interpretazione, e lo hanno visto in pochi. C’è stato un periodo in cui mi ostinavo scioccamente a leggere di continuo le recensioni negative su di me e sul film, mentre saggezza vorrebbe che alla fine di un progetto uno se ne dimentichi e passi oltre. Io invece ho bevuto l’amaro calice fino in fondo e ci ho messo due anni per far sparire la paura e il dubbio che mi avevano assalito dopo quell’esperienza. Ma in ogni caso lo rifarei, perché mi ha insegnato molte cose.
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti