“L’Erode di Wilde cerca di impressionare i romani, il mio vuol far colpo sui boss della mala, perciò li invita nella sua tana, anzi nel suo impero. Può sembrare un po’ teatrale ma in realtà è tutto giocato al limite. Per raccontare Salomè ci vuole un po’ del vecchio e un po’ del nuovo”.
Claudio Sestieri esprime così la sua soddisfazione per Chiamami Salomé, versione cinematografica, in chiave contemporanea, del celebre dramma di Oscar Wilde. Prodotto da Pietro Innocenti per la Star Plex, il film segna il ritorno di Sestieri dietro la macchina da presa dopo la produzione tv Infiltrato.
Girato tra maggio e giugno, vede un boss napoletano (Ernesto Mahieux ) dare una festa degna di un peplum anni ’60 per far colpo sui capi mafia americani da cui dipende. L’uomo di potere dovrà fare i conti con la moglie Erodiade, una vera dark-lady (Caterina Vertova), e la ragazza da cui è attratto, la figliastra Salomè (Carolina Felline), che lo mette a dura prova chiedendogli di concederle la testa di Giovanni (Elio Germano), giovane rapito dal malavitoso tempo prima e ormai divenuto come un figlio.
Come mai la scelta di adoperare un classico della letteratura inglese?
Sono un onnivoro e un regista poco italiano perché faccio film che non hanno niente a che vedere con la tradizione neorealista e la commedia. Mi piace reinventare la realtà e soprattutto coniugare cinema e letteratura. Wilde affronta in modo molto moderno un argomento antico come quello di Salomè. La commistione tra vecchio e nuovo mi interessa e cerco di farla emergere anche nella scelta scenografica: ho voluto un capannone industriale che mantenesse visibili quadri elettrici e cavi in modo da mischiare questi elementi moderni con quelli vecchi dell’impero posticcio voluto da Erode.
Perché proprio “Salomè”?
Perché è una storia di potere, di desideri e passioni non corrisposte. Perché Salomè è la madre di tutte le Lolite e Erodiade è una dark lady e quello che sembra l’uomo più potente, Erode, viene stritolato proprio dall’abbraccio mortale di queste due figure femminili.
Che ruolo gioca nel film il rapporto tra Erode e Giovanni? Si può parlare di legame genitoriale?
Si. Erode non ha mai avuto figli e Giovanni è diventato orfano: suo padre è morto e sua madre non ha mai voluto pagare il riscatto del rapimento. Giovanni sente che Erode è suo padre, in qualche modo è vittima della sindrome di Stoccolma. Erode sa che tra loro c’è un rapporto privilegiato. A stento mantiene fede alla parola data e lo fa uccidere alla fine.
Per realizzare un testo così importante cosa ha chiesto ai suoi attori?
Ho voluto una recitazione più naturale possibile. Ernesto Mahieux ha mantenuto il suo accento napoletano, Carolina Felline e Elio Germano sono due giovani attori che hanno un modo molto spontaneo di entrare nel personaggio mentre Caterina Vertova è la più ‘teatrale’ perché Erodiade è una sorta di aristocratica della malavita e volevo fosse diversa da tutti gli altri.
Nei suoi precedenti film i critici hanno individuato degli elementi tipici di Antonioni. Crede sia vero?
Sono nato con Antonioni. Da ragazzo ho fatto il critico e prima ancora ho scritto la mia tesi di laurea su di lui. E’ sempre stato un mio amore cinematografico. Dolce assenza, il mio primo film, era un omaggio a L’avventura in chiave metropolitana. Ma ora è passato del tempo e ho cambiato direzione. In Chiamami Salomè non c’è niente di Antonioni. E’ la storia di un triangolo amoroso, ci sono due importanti figure femminili, ma per me è soprattutto la vicenda di un protagonista maschile.
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