E’ stato il “voyeur uditivo” in Almost blue di Alex Infascelli e l’irresistibile Pentothal di Paz!. Ora Claudio Santamaria veste i panni di Mario, l’operaio giovane e disincantato di Il posto dell’anima di Riccardo Milani, regista con cui aveva già lavorato nel film per la tv Soffiantini. Una pellicola sull’occupazione di una fabbrica che la corporation americana Carair vuole chiudere.
Ma prima ancora, il 28 marzo, l’attore 28enne sarà sugli schermi con Passato prossimo, l’opera prima della figlia d’arte Maria Sole Tognazzi. Lo abbiamo incontrato a Roma, tra una pausa sul set di Il cartaio, thriller blindatissimo di Dario Argento in cui interpreta un poliziotto, e un corteo contro la guerra all’Iraq.
L’esperienza sul set di Milani?
Il posto dell’anima mi ha restituito il benessere e i giusti stimoli dopo una fase di inaridimento sui set. Abbiamo conosciuto alcuni operai che hanno vissuto la situazione messa in scena da Milani. Ci hanno descritto il lavoro di fabbrica, raccontato che cosa significano le lotte e il licenziamento. Durante le riprese, mentre stavano con noi sul set, abbiamo vissuto momenti di grande intensità. Riccardo ci diceva sempre che la gente ha dimenticato una classe che esiste ancora. Con questo film l’ha resa protagonista. Per me è stato un riavvicinamento: mio padre faceva l’imbianchino.
Parlaci del tuo personaggio.
Come gli altri operai è emigrato da un paese a Campolaro, cittadina cresciuta attorno alla fabbrica Carair, un posto dove il baseball, importato dagli States, è lo sport favorito. Mario è l’incarnazione della terza generazione operaia. C’è Salvatore, il sindacalista vicino alla pensione, e c’è Antonio romantico e idealista. Poi vengo io, giovane ma con una famiglia da mantenere e un mutuo sul groppone, più realista degli altri, meno permeato dall’ideologia, cerco una strada diversa dalla fabbrica ed esprimo forme di protesta più istintive e personali. Sono figure fragili ma con una vena popolare che le rende anche ironiche.
Il rapporto con Placido e Orlando?
Timore reverenziale. Poi mi sono sciolto. Silvio mi ha dato tanti consigli, Michele, essendo anche regista, è molto propositivo.
La direzione di Milani?
I tempi per le prove erano strettissimi ma del resto Riccardo non ama provare troppo perché pensa che la recitazione possa perdere forza. Abbiamo lavorato parecchio sul dialetto abruzzese, cosa che mi aiutato a staccarmi da me stesso e avvicinarmi al personaggio.
Passiamo al film di Maria Sole Tognazzi.
Abbiamo fatto la prima lettura del copione 2/3 anni fa a casa di Maria Sole. Fin dall’inizio lei ha modellato i personaggi pensando a noi del cast. Così non ci sono stati grandi cambiamenti, solo qualche limatura qua e là. Interpreto Andrea, attore che viene da una lunga gavetta. E’ un giocherellone, un ipercinetico che ama il contatto fisico con le persone, anche un po’ ingenuo. Ha cominciato il mestiere insieme a Edoardo (Ignazio Oliva), figlio di un interprete famoso. Ma tra loro c’è un non detto che porta ad una rottura e a un confronto finale. Come gli altri personaggi Andrea fa i conti con i ricordi e un passato forse più puro del presente.
Insieme ad alcuni amici hai diretto il cortometraggio “Rosso”. Pensi di passare dall’altra parte della macchina da presa?
No. Non ci ho mai pensato. Per ora non ho molto da dire come regista. E comunque le mie prove migliori sono state a teatro non al cinema. Continuo a lavorare con Lucilla Lupaioli e Furio Andreotti in una compagnia nata ai tempi dell’Acting Training di Beatrice Bracco a cui sono molto affezionato.
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