Tra i momenti più attesi di Visions du Réel c’è sempre quello della consegna del premio Maître du Réel, principale riconoscimento alla carriera assegnato dal festival, andato quest’anno a Claire Denis. La cerimonia è sempre corredata da una masterclass, organizzata insieme alla scuola d’arte ECAL, e da una retrospettiva in collaborazione con la Cineteca Svizzera. Quest’ultima è rimandata a data da destinarsi (ma alcuni documentari della regista sono visibili online durante la kermesse), così come la consegna fisica del premio.
Si è invece potuta tenere, il 29 aprile, la consueta conversazione, questa volta in rete, moderata da Emilie Bujès, direttrice artistica del festival, e da Lionel Baier, regista losannese e responsabile del settore cinema dell’ECAL. La direttrice ha esordito spiegando il motivo dell’attribuzione del premio, che va oltre la semplice presenza di documentari nella filmografia della cineasta francese: “Claire Denis osserva con precisione ciò che solitamente non si vede sullo schermo, quello che rimane in un angolo, sia nei documentari che nei film di finzione”.
La diretta interessata, dal canto suo, ha ironizzato sul nome del riconoscimento: “La prima volta che l’hanno menzionato ho pensato che fosse il titolo di un film di arti marziali. Non mi pronuncio sulla nozione del maestro, ma per quanto riguarda il reale è vero che mi interessa ciò che fa vivere i personaggi. È ciò che sento nella mia vita”.
La regista ha chiarito ulteriormente: “Nella vita ci sono giornate incerte, e al cinema spesso vediamo solo quelle positive. C’è una differenza tra ciò che vorremmo e ciò che poi accade. Nei miei film i personaggi si aspettano qualcosa dalla vita ma non sono sicuri di ottenerlo. Per me quello è il reale”.
Parlando della differenza tra documentario e finzione, la cineasta ha svelato che c’è un aspetto del primo che porterebbe con sé per il secondo: “Mi dispiace non poter filmare per un anno intero quando faccio un film di finzione”.
Al netto di qualche problema tecnico, l’incontro ha riprodotto abbastanza fedelmente la struttura delle masterclass fisiche di Visions du Réel: spezzoni di film, domande degli studenti dell’ECAL e, tramite il sistema dei commenti per la piattaforma usata per la conversazione, quesiti del pubblico. Per quanto concerne gli estratti, se n’è potuto vedere uno del ritratto che Claire Denis ha dedicato a Jacques Rivette, e da lì è nata una discussione su ciò che ha fatto prima di darsi alla regia: è stata infatti aiuto regista per autori come Costa-Gavras, Jim Jarmusch e Wim Wenders, e addetta al casting per l’ultimo film di Andrei Tarkovskij.
Com’è stato il rapporto professionale con questi cineasti una volta diventata regista? “Jacques, che adesso non c’è più, mi dava dei consigli in sede di montaggio. Con Costa-Gavras sono rimasta in buoni rapporti, so che va sempre alle proiezioni dei miei film alla Cinémathèque a Parigi”.
La questione del reale si manifesta anche nel suo rapporto con gli attori, come quando si parla di Robert Pattinson, che lei ha diretto in High Life: “L’avevo visto in Twilight e Cosmopolis, e mi aveva colpito perché ha un lato nascosto, che si vede anche in Good Time. Non è un attore naturalista, c’è sempre qualcosa sotto, ed è per quel motivo che funziona in tutti quei film”.
Parlando invece di Juliette Binoche, la regista si è soffermata sull’importanza dei primi piani: “A me non interessa il corpo, ma la presenza, e filmando il volto si vede tutto”. Uno studente si è ricollegato alla clip su Rivette, chiedendo se Claire Denis condivide con lui la nozione del vuoto che si crea tra un film e l’altro: “Sì, non sono interamente d’accordo con Jacques, che arrivava a parlare di una vera e propria crisi, ma c’è un vuoto, un abisso, una volta che hai finito un film. Non sono sempre a mio agio quando presento la versione finale a un festival, perché a quel punto è veramente finita, non rimane più nulla. In quel momento percepisco il vuoto”.
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