Mattinata con le scuole per Pierfrancesco Favino, che al The Space Moderno di Roma incontra gli studenti e i docenti delle Scuole Superiori partecipanti ai Progetti Scuola ABC. Il progetto è promosso dalla Regione Lazio, in collaborazione con Roma Capitale tramite Zetema Progetto Cultura, all’interno del PR FSE+ 2021-27.
L’incontro è condotto dal critico Fabio Ferzetti, dopo la proiezione del film Nostalgia di Mario Martone.
L’evento fa parte del programma Cinema, Storia & Società, integrato nei Progetti Scuola ABC, che accompagna gli studenti delle Scuole Superiori di Roma e del Lazio alla scoperta del mondo cinematografico.
Nostalgia, vincitore di 4 Nastri D’argento nel 2022 per la miglior regia, attore protagonista, attore non protagonista e sceneggiatura, narra la storia di Felice, un individuo che dopo quarant’anni trascorsi in varie parti del mondo torna al quartiere Sanità di Napoli, il suo luogo d’origine. Qui ritrova sua madre anziana e cieca, di cui si prende cura, e si riconnette con Oreste, un amico d’infanzia diventato uno dei boss più temuti del quartiere. Il loro rapporto, segnato da affetto, dolore e incomprensioni, avrà un epilogo tragico e sorprendente. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea.
Il film di Martone cattura perfettamente l’atmosfera di un quartiere in continua evoluzione, la Sanità, dove l’educazione delle nuove generazioni e la cultura stanno contribuendo alla sua rinascita. Le iniziative di Don Luigi offrono ai giovani del quartiere la possibilità di sfuggire a un destino segnato dalla criminalità e dall’emarginazione. “Nostalgia” non è solo un film, ma un invito a riscoprire le proprie radici e a definire un nuovo sé, un manifesto di emancipazione per i giovani che trovano speranza in un futuro migliore.
Durante l’incontro, l’attore risponde alle domande dei ragazzi, condividendo aneddoti sul set, spunti e ispirazioni che hanno contribuito a plasmare il suo personaggio.
I personaggi di Favino hanno sempre radici molto forti: “E’ una delle cose più interessanti non solo dei personaggi, ma anche dell’italianità – dice – Nella nostra quotidianità, se scendiamo per strada, ognuno di noi si porta dietro l’origine linguistica. Quanti hanno genitori marchigiani o i nonni napoletani? Il nostro paese è fatto di questo, anche dell’affetto per la lingua. Quando si parla in un modo si pensa in un modo. Questo film è tratto da un romanzo, in cui l’autore sottolinea che il modo di parlare di Felice fa ridere, immaginandolo come un’Africa da colonia francese. Noi l’abbiamo spostata ma l’idea che lui torni a parlare la sua lingua madre significa che ha ritrovato anche le radici. Se sono in un posto, ci sarà qualcosa del posto che ha a che fare con la mia personalità. Ho preso anche lezioni di arabo, una lingua e una cultura meravigliosa, poetica, rispettosa, gentile che va riscoperta al di là della politica e del fanatismo religioso. Ma anche nel napoletano c’è molto dell’arabo. Gli arabi non hanno il verbo ‘avere’. Si dice ‘questa cosa a me’, ‘sorella a me’, come ‘sorema’ e ‘soreta’. Oppure ‘Se Dio vuole’, loro dicono ‘Inshallah‘, che anzi significa ‘Se Dio ha voluto’. Non esiste il futuro. Ma esiste il verbo duale, una forma del verbo specifica per esprimere che qualcosa la si fa insieme. Non hanno la ‘p’, per questo la sostituiscono con la ‘b'”.
Nel film ci sono anche gli abitanti e le case del vero quartiere Sanità: “Non si ferma la Sanità – commenta Favino – e inoltre eravamo nel bel mezzo della pandemia. Dovevamo solo fotografare la realtà com’era ed evitare che mi fermassero per strada. Non avevo nemmeno la roulotte, per andare in bagno dovevo bussare a casa delle persone. Mi hanno offerto un sacco di caffè. Poi aprivano la porta e mi accoglievano, ma si sono presto abituati alla nostra presenza. Tutti estremamente disponibili, infatti Mario poi ha preso molti ruoli dalla realtà, come la casa dello spacciatore. A volte qualcuno doveva stendere i panni, o scappare dalla sorella. Mario li fermava e li filmava, poi tutti venivano pagati. Ma comunque continuavano a fare le loro cose, alla fine mi salutavano come Felice, il nome del mio personaggio”.
Circa la coincidenza con la pandemia, per Favino “è stata una fortuna. La sceneggiatura ha avuto il tempo che tutte le sceneggiature dovrebbero avere per svilupparsi. Alla fine tutto è stato molto semplice. Se la storia è buona, l’attore non deve occuparsi di tante altre cose. Basta concentrarsi sulla singola scena, ma sarà la storia a mostrare tutto il resto. Oreste e Felice sono come due ragazzi di Mare Fuori, fanno due strade diverse, ma è una storia di amore più che di criminalità. Quell’amore che si può avere solo per un amico a quindici anni, quando se perdi un amico, perdi una parte di te. E quella parte ti richiamerà sempre, anche se hai costruito altre maschere e dimensioni, ma i conti prima o poi li devi fare”.
Sul lavoro dell’attore: “Ci occupiamo dei comportamenti umani, cioè di come le persone si relazionano agli altri. La prima cosa che facciamo è piangere, per lo shock. Poi facciamo la cacca, e mi puliscono. Ho fame, e mi danno da mangiare. Sempre piangendo. Il bambino capisce che se piange qualcosa arriva. Per un bel po’. Poi un bel giorno vai in cucina, senti che mamma sta facendo i biscotti, piangi e all’improvviso ti dicono di chiedere ‘per favore’. Parte il gioco del no e del capriccio. Alla fine si impara a dire ‘per favore’. In quel momento, la vostra voce non è già più la vostra. La adattate a ciò che gli serve. Non sapete cosa voglia dire ‘per favore’ ma capite che serve per avere il biscotto. In quel momento adattiamo noi stessi alle nostre necessità in ogni modo possibile. Tutti i personaggi di ogni film o serie che vedete, di tutti i romanzi che leggete – da Renzo e Lucia ai ragazzi di Mare Fuori – fanno la stessa cosa. Si muovono perché hanno bisogno di qualcosa, di sopravvivere, di soldi… o altro. Se hai bisogno di adattarti alla cultura araba, imparerai l’arabo. Questa capacità di adattamento è il talento dell’attore. Come quando una ragazza fa la carina con un ragazzo per ottenere uno strappo in motorino, siamo tutti attori, dopotutto”.
“Mi porto dentro il Sud, e come Felice ho un forte rapporto con la famiglia e le radici – prosegue sul personaggio – questo mi appartiene. Su altre cose ho dovuto riflettere. C’è una parte di questa realtà che non mi appartiene, non sono nato in una condizione criminale né in quella che potrebbe diventarlo. Andare alla Sanità è stato importante. Ricordiamoci che c’è un romanzo dietro, e il romanzo ha al suo interno anche i pensieri degli uomini. La storia si porta dietro temi da tragedia greca, non c’è una risoluzione semplice, anche se tutti l’avremmo voluta. Io non vivo lì, potrei fare tanti bei discorsi sulla resistenza, ma forse non sono io a doverlo fare. Conosco persone che ci lavorano, compreso Francesco Di Leva, che usa il teatro per riconvertire potenziali realtà criminali. Non si può a nessuno l’obbligo di sostituirsi allo Stato. Ma non va fatto con le armi. Va fatto dando alternative alle realtà giovanili, per proporre un’altra mentalità. Ma la mentalità è difficile da sradicare proprio perché ad alcuni conviene. C’è chi ha sacrificato la vita per questo, magistrati, giornalisti, si sono fatti uccidere per dire la verità. Felice non fa quello che fa per dimostrarsi superiore alla Camorra. Io ho interpretato anche molti criminali, come il Libanese, ma non era un modello ‘fico’ da imitare”.
E il messaggio? “Faccio fatica a pensare che si faccia un film pensando al messaggio. La trovo una cosa un po’ noiosa, mi interessano più le emozioni. Non è detto che il messaggio ci debba essere, dipende molto dallo spettatore. Questo è sacrosanto. Il film non si fa senza il pubblico. Se può farne a meno è un film narcisista. Non saprò mai esattamente cosa vi emoziona della storia che racconto. E’ una libertà che lo spettatore deve sempre rivendicare, altrimenti non si può spiegare perché qualcosa possa piacere tantissimo a qualcuno e per nulla a qualcun altro. Questo è bellissimo, siamo tutti diversi. Mi permetto solo di dirvi di stare attenti a far sentire sempre la vostra voce. La vostra voce vale, proprio perché è la vostra, comunque decidiate di farla sentire, con l’arte, la politica, il lavoro. La vostra opinione è vostra e può essere diversa da quella del vicino. Non credo che il finale del film volesse dirci se c’è speranza o meno. Forse c’è se qualcuno accetta di sacrificarsi per un bene, Felice fa quello che fa per pagare un debito di amicizia e amore”.
Qualcuno chiede a Favino se sia il caso di trasferirsi all’estero per fare l’attore: “No. Il nostro sistema è ancora uno dei migliori. La mia scuola è gratuita, perché è giusto. Un ragazzo cresciuto alle pendici dell’Etna può e deve poter dimostrare che ha talento, e diventare eventualmente una star”.
Il modulo didattico Cinema, Storia & Società si propone di esplorare il Novecento attraverso il cinema, oltre a analizzare le sfide e le contraddizioni del mondo contemporaneo.
Inoltre, oltre al cinema, il percorso didattico includerà anche la serialità televisiva, le clip e altre forme di audiovisivo, offrendo agli studenti una visione completa e approfondita del mondo dell’immagine in movimento. Tra gli eventi previsti, il Meeting di Cinema&Storia, in collaborazione con Cinecittà, offrirà agli studenti l’opportunità di esplorare i luoghi simbolo della memoria cinematografica e di partecipare a sessioni di formazione e approfondimento.
Cinema, Storia & Società è un’iniziativa promossa dall’Assessorato Lavoro, Università, Scuola, Formazione, Ricerca e Merito della Regione Lazio, con il supporto dell’Assessorato alla Scuola, Formazione e Lavoro di Roma Capitale tramite Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con Giornate degli Autori, Cinecittà e la Direzione Generale Cinema e audiovisivo del Ministero della Cultura.
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