Vittorio Gassman è morto il 29 giugno nella sua casa romana in seguito a una crisi cardiaca. Era nato a Genova il 1° settembre 1922. Sterminata filmografia – oltre cento titoli – straordinaria carriera teatrale – cominciò proprio da lì – convinte incursioni televisive e persino letterarie, un privato altrettanto movimentato con quattro relazioni importanti: Nora Ricci, sposata tra il ’44 e il ’52 (una figlia, Paola); Shelley Winters (1952-54, dall’unione nasce Vittoria Gina); Juliette Maynel (1965, Alessandro); Diletta D’Andrea dal ’70 (nell’80 nasce Jacopo).
Inarrivabile e contemporaneamente così vicino. Un uomo di settant’anni, quasi 77 per la verità, che parla del suo lavoro e improvvisamente, impercettibilmente, scivola nel privato, in territori intimi e dolorosi. È vecchio ma sempre molto affascinante, ha una voce incredibile, una “gentilezza del tocco”.
Chi scrive se lo ricorda così, come un affabulatore triste. La famosa depressione era diventata la sua seconda pelle, il tema di un’autobiografia riuscitissima e di centinaia di interviste, persino di inchieste sugli effetti del Prozac… non si faceva certo pregare per parlarne.
Una maschera anche quella, ma dietro, è evidente, c’era la morte. O meglio la paura della morte, forse radice di tutte le depressioni. Di sicuro della sua. Istrionica, autocompiaciuta, ma anche umana al punto da trasformare una banale intervista – a Pesaro ’99, per l’evento speciale dedicato proprio a lui – in una radiografia a cuore aperto che faceva risuonare nell’interlocutore emozioni profonde.
Vittorio Gassman lo sbruffone. Atletico, mattatore, cialtrone, fanfarone – Le fanfaron, così i francesi avevano tradotto Il sorpasso dove sbeffeggiava letteralmente a morte il loro Trintignant – in fondo narcisista. Sono questi gli aggettivi che si moltiplicano nelle orazioni funebri a caldo. Sono questi i ruoli che spiccano nell’infinita filmografia – 117 titoli, da Preludio d’amore del ’46 alla partecipazione affettuosa e autoironica nel recente La bomba di Giulio Base insieme al figlio Alessandro. Sono I soliti ignoti e La grande guerra, Il sorpasso e L’armata Brancaleone, Il gaucho e C’eravamo tanto amati. Per non dire di Kean o dell’Achab teatrale e dell’indistruttibile, survoltata alleanza con gli altri due “colonnelli” della commedia all’italiana, Tognazzi e Sordi. O persino delle sparate in politica. Ultima quella contro le dimenticanze della sinistra verso il teatro italiano che dichiarava polemicamente “morto”.
Persino troppo evidente che dietro quell’aria aggressiva e disincantata, sempre venata di cinismo, si celasse un’altra faccia. Capace di mostrarsi, a volte, quando lui ne aveva voglia o magari bisogno. È stata questa la sua grandezza. Inarrivabile eppure così vicina.
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