E’ un caso di sdoppiamento in piena regola quello della Guerra dei bottoni. Due film tratti dallo stesso libro che sono usciti in Francia a una settimana appena di distanza e con titoli quasi identici. La guerre des boutons di Yann Samuell è arrivato in sala per primo, La nouvelle guerre des boutons di Christophe Barratier – quello proposto qui al Festival di Roma, come Evento speciale di Alice – è uscito a ruota. Adesso sono quasi pari al botteghino, ma la “guerra della guerra dei bottoni” ha stupito i media di tutto il mondo guadagnandosi un titolo persino sul New York Times. Al Festival abbiamo incontrato Barratier, già autore di un successo internazionale come I ragazzi del coro, forte di due nomination all’Oscar nel 2004. Unsuccesso che il quarantottenne regista spera ora di bissare con questa pellicola levigata e avvincente. In America è entrata nella scuderia di Harvey Weinstein – anche grazie al cast dove troviamo Laetitia Casta, Guillaume Canet e Gérard Jugnot accanto agli splendidi piccoli interpreti – e solo in Italia è ancora a caccia di un distributore.
Barratier, cosa è successo? C’è stata una moltiplicazione dei bottoni in Francia?
Partiamo dall’inizio. In principio c’è Louis Pergaud, un maestro di scuola elementare che cadde al fronte durante la prima guerra mondiale nel 1915. Poco prima di morire, nel ’12, aveva scritto un romanzo sulla sfida tra i ragazzini di due villaggi agricoli della Loira, Longeverne e Velran. Una sfida i cui trofei sono appunto i bottoni scuciti da camicie e pantaloncini dalla fazione vittoriosa per umiliare gli sconfitti. Quel best seller della letteratura per l’infanzia è stato portato al cinema una prima volta nel ’35 e poi nel 1962 da Yves Robert in un film celeberrimo.
Cosa è accaduto cinquant’anni dopo?
E’ accaduto che il romanzo è diventato di pubblico dominio e ben quattro produttori hanno avuto la stessa idea: rifare il mitico film di Yves Robert. Di questi, due si sono ritirati, ma altri due, Marc du Pontavice e Thomas Langmann, hanno proseguito col progetto, sperando di restare i soli. Era una situazione totalmente inedita per il cinema francese, non si era verificata né con I miserabili né con I tre moschettieri, perché i film gemelli hanno deciso di uscire contemporaneamente e non a distanza di tempo.
Si sono neutralizzati a vicenda o hanno invece accresciuto l’attenzione dei media?
Hanno creato un’enorme confusione nel pubblico. Aumentata dal fatto che il titolo del mio film, La nouvelle guerre, poteva indurre a pensare che si trattasse del seguito dell’altro. In realtà loro, che sono usciti a settembre, una settimana prima di noi, sono partiti forte, ma noi li abbiamo raggiunti e adesso, con le vacanze scolastiche di novembre, contiamo di superarli. Loro hanno fatto 1 milione e 400mila ingressi, noi pensiamo di arrivare a due milioni. Però se non ci fosse stata questa assurda situazione saremmo usciti a novembre o dicembre, magari durante le feste di Natale, e avremmo avuto almeno tre milioni di spettatori.
Considera il suo film un remake?
Niente affatto. Lo considero un nuovo adattamento del libro, da cui sono partito per scrivere una storia diversa. La novità principale è l’ambientazione durante la seconda guerra mondiale e la Repubblica di Vichy.
In che porta alla storia, del tutto nuova rispetto al libro, di Violette, la ragazzina ebrea rifugiata nel villaggio di Longverne sotto mentite spoglie, di cui Lebrac, lo stratega del gruppo, si innamora.
Certo, la scelta della seconda guerra mondiale non è gratuita ma serve a fare di questa piccola guerra infantile una sorta di iniziazione alle guerre dei grandi. Il libro è ambientato negli anni ’10, il film di Yves Robert negli anni ’60 durante il boom. Invece noi abbiamo scelto gli anni ’40, quando c’erano molti bambini ebrei rifugiati nelle campagne e perseguitati dalla polizia francese, non dai nazisti ma dai collaborazionisti, che spesso si comportavano peggio dei tedeschi.
Si sente in qualche modo vicino al Tornatore di “Nuovo Cinema Paradiso”?
Non ho mai pensato a quel film e neppure a La vita è bella di Benigni. So che quei film, come anche I ragazzi del coro, hanno molti fan e anche molti detrattori, quelli che pensano che siano troppo idealisti, troppo in chiave di favola. Personalmente sono attratto da quei film che esprimono non tanto la realtà nuda e cruda, quanto un ideale. Per questo mi hanno accusato di essere un nostalgico, ma non è così. Certo, sicuramente ho nostalgia della mia infanzia, quando tutto era possibile e tutto era permesso.
Dopo “I ragazzi del coro” e “La nuova guerra dei bottoni” si sente specializzato in film per l’infanzia?
Non vorrei essere classificato come regista per l’infanzia. Infatti il mio prossimo progetto è tutt’altra storia, una storia contemporanea, che parla di un ragazzo di vent’anni che diventa molto famoso grazie a un reality e finisce per immedesimarsi totalmente nel suo personaggio, al punto da non poterne più uscire.
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