Christian Petzold: racconterò l’odissea di Primo Levi


PESARO. In Italia il suo nome è ancora poco noto, eppure Christian Petzold è uno dei registi tedeschi più interessanti della generazione degli anni Sessanta. Nato e cresciuto nella Germania Ovest, autore di Yella, della serie televisiva Dreileben presentata alla penultima edizione della Berlinale e soprattutto di Jerichow, passato in concorso tre anni fa alla Mostra di Venezia, Petzold ha saputo raccontare il suo paese con uno sguardo in costante equilibrio tra realismo e astrazione. Ha sempre ritratto personaggi femminili intensi e di rara forza emotiva, ne è prova anche il suo ultimo film Barbara, già vincitore dell’Orso d’Argento e presentato ieri in apertura alla 48° Mostra di Pesaro (in attesa dell’uscita nelle sale, dove sarà distribuito da Bim).

Barbara è il drammatico racconto, ambientato nel 1980, di una dottoressa che per aver richiesto il trasferimento nella Germania Ovest viene trasferita dal governo della DDR in una struttura ospedaliera di provincia. Ciò non le impedisce però di pianificare la fuga e di continuare a vedere il suo fidanzato mentre, contemporaneamente, lo sguardo interessato di un suo collega confonde i suoi sentimenti.

Nel ruolo della protagonista ancora una volta la talentuosa Nina Hoss, attrice feticcio e musa di Petzold. “Con lei ho un’intesa stupenda – racconta il regista nell’incontro a Palazzo Gradari – ci siamo trovati in sintonia da subito. Una sera abbiamo visto insieme Stromboli di Rossellini, lì abbiamo capito che tra noi poteva nascere una bella collaborazione”.

 

Barbara somiglia molto a Yella e alle altre protagoniste femminili dei suoi film. Come mai?
In effetti è un parallelismo giusto, ad ogni modo è Nina che riesce a costruire questi legami, non io. Con me lei ha interpretato diversi ruoli importanti, in fondo sono tutti personaggi appartenenti al gruppo delle donne che combattono contro gli uomini. Fa parte del suo lavoro di attrice, mi dispiace comunque che non abbia vinto il premio Lola quest’anno, lo avrebbe davvero meritato.

Che ricordo ha della DDR?
Da bambino andavo tutti gli anni nella Germania Est per le vacanze estive. Ho un ricordo straordinario di quei momenti, ma le immagini che mi sono rimaste dentro sono veramente tristi. Il clima che si respirava nella DDR non dava la possibilità alle persone di mostrare la propria sensualità, le proprie emozioni. Tutto doveva essere estremamente reale, concreto. Spesso all’Est venivano dati film con Romy Schneider, che era un’attrice molto amata per la sua sensualità e la sua eleganza, in fondo rappresentava tutto ciò che a loro mancava. L’atmosfera che mi ricordo era grigia, senza sfumature cromatiche.

 

Come ha lavorato con il direttore della fotografia?
Abbiamo guardato tantissime fotografie di quel periodo e soprattutto cercato fotografie notturne, perché in Germania Est le notti erano differenti rispetto a quelle di qualunque paese, avevano un’atmosfera particolare. Lì l’illuminazione notturna era data da lampade al Natrium che creavano quasi una fluorescenza gialla. Abbiamo semplicemente cercato di riprodurla nel modo migliore.

Quanto è complicato oggi raccontare l’ex Germania dell’Est?
E’ stato molto complesso in particolare a livello di preparazione: a nessuno interessava più una storia sull’ex Germania Est, per tutti è una cosa risolta ormai. Ma proprio per questo motivo ritengo che il cinema se ne debba occupare.

 

Quali sono i suoi punti di riferimento nel cinema tedesco del passato?
Il cinema di Rainer Fassbinder è senza dubbio un riferimento fondamentale, ma lo sono anche i paesaggi desertici di Wim Wenders e l’erotismo di Klaus Lemke. E mi sento molto influenzato anche dal cinema americano.

 

Il feeling con Nina Hoss è nato guardando “Stromboli”. Qual è il suo rapporto con il cinema italiano?
Sono sempre stato impressionato da tutto il neorealismo e in particolare da Rossellini, che adoro. Negli ultimi anni il film che più ho amato è Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, un film straordinario, anzi un capolavoro.

 

Si può parlare oggi di un ‘cinema europeo’?
Francamente trovo che non si debba prescindere dal “regionalismo”: se puntassimo a creare veramente un cinema europeo, esso prenderebbe gli stessi connotati del cinema americano. E’ chiaro, il cinema deve trovare collegamenti, rapporti anche produttivi, ma deve avere delle caratteristiche regionali, altrimenti non avremmo più niente di cui parlare.

Il suo prossimo film?
Racconterò la storia di un sopravvissuto dei campi di Auschwitz che torna a casa e rivuole indietro la sua vita. Un’odissea che si basa sulle vicende di Primo Levi, con uno sguardo però a La donna che visse due volte di Hitchcock.

autore
27 Giugno 2012

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