Un film sul tempo, quello a venire, quello che trascorre inesorabile. Un film sulla solitudine e sul libero arbitrio, perché il titolo – Plan 75, ospite al Far East Film Festival, accompagnato dalla sua regista, la giapponese Chie Hayakawa – riflette il nome omonimo di un programma del governo giapponese che, in un futuro imminente e immaginato, sprona la popolazione senile a scegliere di sottoporsi all’eutanasia, scelta suggerita come rimedio all’anagrafe sempre più adulta della società.
Sono tre i cardini umani da cui prende forma il racconto: un’anziana signora, Michi – una commovente Chieko Baishô, insignita a Udine del Gelso d’oro Alla Carriera -, un volitivo venditore del Plan, e una migrante filippina impiegata nello stesso: ciascuno ha un dramma in fieri, un’esigenza da fronteggiare, un futuro da scrivere.
Lei, la vecchina quasi ottantenne, ancora s’impiega come domestica d’albergo: non ha famiglia, non ha nessuno al mondo, solo la sua routinaria quotidianità, tra l’hotel e l’appartamento personale. Le sue gambe, come il suo corpo – ma non il suo spirito – sono sempre più appesantiti dal tempo che trascorre, eppure non è pronta ad assecondare l’idea che “gli esseri umani non possono scegliere la propria nascita, ma è una buona idea scegliere la propria morte”. La società, però, la schiaccia e la scomparsa della sua migliore amica le fa fare “una carezza ravvicinatissima” da parte del Plan 75.
Così, come un flautista magico con i topolini, Hiromu (Hayato Isomura) deve “vendere” questo programma: lui, in fondo, svolge un mestiere ma l’apparizione dello zio – e la sua adesione al Plan -, uomo con cui la famiglia aveva da tempo perso i contatti, gli restituisce improvvisamente una riflessione molto più intima sul progetto.
E lì, dove il fine vita scelto volontariamente si pratica, che c’è anche Maria (Stefanie Arianne) dalle Filippine.
Plan 75 s’incastona nel genere, la Fantascienza, ma l’aderenza alla realtà è altissima: il confine tra “fantasia”, immaginario da ritorno al futuro, e pragmatico presente è quanto mai sottilissimo; è in questo spiraglio di confine che s’inseriscono le questioni su cui il film stimola alla riflessione. Il film di Chie Hayakawa sa come toccare le corde emotive dello spettatore, senza però mai scadere nel sentimentalismo, piuttosto mantenendo lucidità, tratto narrativo che permette a chi segue la storia di disegnarsi un filo connettore tra le metafore che ciascuno dei tre personaggi riflette, portando così a tratteggiare un profilo della delicata questione, da cui possono prendere vita le riflessioni soggettive più disparate.
Hayakawa – con Plan 75 al suo primo lungometraggio, lo scorso anno nella selezione Un certain regard di Cannes – è elegante nella messa in scena, capace tessere il racconto e la visione con discrezione e raffinatezza, sfumature pertinenti al soggetto raccontato e che – soprattutto nelle scelte del cast – sono riflesse anche nelle mirabili capacità espressive degli interpreti in scena.
Plan 75 esce al cinema dall’11 maggio, distribuito da Tucker Film, grazie a cui è anche presente al Far East di Udine, occasione di incontro con la regista:
Signora Hayakawa, il discorso sull’eutanasia, nella società giapponese, quanto è presente e accettato e quanto questo film ha connessioni più forti della fantasia con la realtà?
Quando le persone hanno iniziato a parlare della necessità dell’eutanasia, molta gente ha iniziato a dire che si volesse legalizzare l’eutanasia: da dopo il rilascio del film, ci sono davvero tante persone che dicono di voler questa opzione. Si combatte per il loro benessere, perché c’è un numero crescente di persone che provano ansia rispetto alla vecchiaia. E se fossimo sorpresi dalla demenza? E se non avessimo soldi? O se non abbiamo una famiglia?
Il tempo che passa, la solitudine e il libero arbitrio, sono temi che s’intrecciano: sono questioni ‘local’o pensa abbiano un valore universale nella società del tempo presente?
C’è un’ansia che è quasi una fobia nazionale in Giappone, anche l’influenza dei media è stata significativa: stanno passando tutte informazioni che restituiscono un’immagine negativa dell’essere vecchi. Quindi le persone sono davvero preoccupate di essere vecchie, anche i più giovani sentono la preoccupazione di diventare vecchi. Così molte persone pensano che l’eutanasia sia una delle opzioni per risolvere il problema. L’opzione di qualcosa di sicuro posso dire sia universale e attiri il pubblico internazionale, questo film è stato proiettato in più di 30 festival e sarà distribuito in più di 20 Paesi: la risposta del pubblico è stata molto forte ed emotiva, e molte persone hanno detto: ‘Questo film è molto importante per la nostra vita’. Quindi, posso dire che il tema sia certamente universale.
La sua protagonista principale è una donna. Lei è una donna. Il punto di vista femminile sul tema ha permesso emergessero sfumature e sensibilità più specifiche nel racconto?
Era così quando stavo scrivendo la sceneggiatura, prima del covid. La storia era più deprimente e con un finale più buio. Poi, abbiamo vissuto la pandemia, ascoltavo le notizie dall’Italia e tutto era davvero triste. Ho sentito di casi in cui si dovesse fare una scelta sulla base dell’età. Ho pensato ci fosse troppa similitudine con quello che stava accadendo nella realtà: ho esitato sul continuare a fare questo film. Poi ho deciso di non seguire questa strada e di non rendere questa storia troppo deprimente o troppo scura. Quindi, ho cambiato il finale e l’atmosfera del personaggio. Ho deciso di mettere un piccolo raggio di speranza sul buio della realtà.
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