Aspettando Venezia, Chiara Muti si mette in Mostra. Ventisette anni, al suo primo Concorso al Lido, confessa di non avvertire ancora il brivido della competizione, quando la sua Elda, donna innamorata nel Partigiano Johnny di Guido Chiesa (una della quattro pellicole italiane che corrono per il Leone) si farà flashare accanto all’esercito di divi che si appresta a sbarcare sulla laguna.
Neanche un po’ di emozione?
Quella sì, certo, sarei sciocca se dicessi il contrario. Ma per ora non voglio pensarci, alzo il volume dello stereo e mi sdraio sul letto ad ascoltare il mio preferito, un certo Mozart.
Avrebbe mai pensato di arrivare alla Mostra con un film in concorso?
Forse sì, forse no, e comunque ora mi fa un effetto strano, bello. Ebbene sì: provo una grande emozione. E sono contenta in particolare per Guido Chiesa e per il produttore del Partigiano Johnny, Domenico Procacci. Ci hanno messo l’anima per regalare al pubblico la storia di questo eroe solitario tratta dal bellissimo romanzo di Beppe Fenoglio. È una pellicola ricca di figure che ritengo indimenticabili, ognuna con un suo significato simbolico.
La sua Elda le è rimasta nel cuore?
Non potrebbe essere altrimenti. Nel film è una figura di contorno, ma a suo modo è lei, oltre che la guerra, a segnare la vita di Johnny. Elda è una ragazza che proviene da una famiglia borghese, e la incontriamo ad Alba con altri sfollati di Torino durante una festa dove incontra Johnny e subito se ne invaghisce. Ma non avrà il tempo di innamorarsene perché ad allontanarla dal suo eroe ci penseranno le bombe. Potremmo dire che la sua rimane una seduzione incompiuta.
Già si dice che il film di Chiesa susciterà polemiche alla Mostra. Lei che ne pensa?
Quello che accadrà a Venezia non lo so. Io posso dire che Il partigiano Johnny non è un film schierato. Il suo intento è quello di raccontare i turbamenti e i dubbi di un partigiano e non tanto la guerra partigiana. Non esistono i buoni e i cattivi perché, ieri come oggi, il buono e il cattivo sono dentro ognuno di noi.
Intanto nelle sale esce il suo nuovo film, Rosa e Cornelia di Treves. In questi giorni, nel bombardamento di trailers, non si fa che parlare del bacio “scandalo” tra l’aristocratica Cornelia e la sua serva Rosa…
Non capisco cosa ci sia di scandaloso. Si tratta di un bacio che fa tenerezza, niente omosessualità né trasgressione. Chi ci vuole vedere qualcosa di pruriginoso si sbaglia di grosso. Diciamo che è un gesto simbolico ma molto importante, perché sta a testimoniare la grande amicizia che alla fine nascerà tra le due ragazze. Un’amicizia che supera qualsiasi costrizione sociale in un Settecento maschilista. Torniamo a Venezia. Lei presenterà anche un “corto” alla Mostra…
L’ho girato con grande amore e passione, ci tengo davvero molto. S’intitola Tempo sospeso, diretto da Elisabetta Marchesini e prodotto dalla Lux. Il tema trattato è attualissimo, perché si parla di biogenetica e della ricerca, ormai diventata di moda, dell’elisir di eterna giovinezza. Due giovani sposi, io e Daniele Liotti, si trovano davanti ad una difficile scelta: sottoporsi o meno a un trattamento che in un certo senso promette l’immortalità.
E Chiara Muti cosa sceglierebbe?
Di farmi guidare dal corso naturale della vita. Non mi piace questa vecchiaia diventata stagione da evitare, da “truccare”, da maledire.
Crede in un nuovo divismo italiano?
Oggi esiste solo la popolarità, quella che regala la tv e a me non interessa. Il vero divismo l’abbiamo vissuto negli anni ’60, ora non lo vedo.
Ma il nostro cinema è davvero in crisi?
Non credo. Si fa un gran parlare di cinema italiano moribondo ma io assisto solo a grandi imprese. Gli Oscar di Benigni, ad esempio, o la rinascita di Cinecittà che sembra tornata agli splendori di un tempo. Abbiamo grandi registi, buonissimi attori, e un artigianato che il mondo ci invidia. Ne sono sicura: stiamo recuperando il terreno perso negli anni Ottanta, quando realmente si poteva parlare di crisi.
È vero che tra poco Chiara Muti aprirà un suo sito in Internet?
Vogliamo scherzare? Io non riesco neanche a digitare su una tastiera, non sopporto di stare davanti allo schermo di un computer. I miei amici insistono perché compri un pc e inizi a chattare, a navigare. Ma non riescono a convincermi. Questo tipo di tecnologia è utilissima per certi aspetti ma secondo me uccide la parola e poi corre troppo veloce. Già immagino i miei nipoti che verranno a trovarmi su una navicella spaziale.
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