Tre età della vita come in un dipinto di Klimt. E’ L’isola, primo film da regista, scritto insieme a Monica Zappelli, di Chiara Caselli. Già autrice di un cortometraggio, Per sempre, che ha vinto il Nastro d’argento e ha conquistato la fiducia di Marco Müller. Sarà proprio lui, infatti, a produrre l’esordio dell’attrice bolognese in coproduzione con il francese Alain Sarde e con fondi pubblici inglesi. E’ presto per svelare la storia, già si sa che ci saranno attori bambini, una grande metropoli… e un’isola, appunto.
In attesa delle riprese, in autunno, è in uscita Il gioco di Ripley, che la vede diretta ancora una volta da Liliana Cavani (Dove siete? Io sono qui) in un piccolo ma significativo ruolo.
Hai incrociato nella tua carriera molti grandi, da Antonioni ai Taviani. Cosa metterai di quelle esperienze nel tuo lavoro di regista?
VIDEO: Ripley’s Game (conferenza stampa) |
Ogni regista porta con sé un universo diverso. Da ciascuno ho imparato molto, nel bene e nel male. Per esempio, con Liliana ho visto come è difficile gestire la macchina del cinema americano per un europeo. Il gioco di Ripley, che è un film su commissione, è prodotto dalla Fine Line, la stessa del Signore degli anelli: era un gioco di potere enorme che Liliana ha affrontato con la solita padronanza.
Tu hai lavorato spesso all’estero, ma ami molto il cinema italiano…
E’ vero, ne sono orgogliosa. Sta germogliando il terreno preparato da Muccino, Ozpetek e Virzì… tutti coloro che hanno rotto la maledizione che pesava sul nostro cinema. Nessuno voleva vedere i nostri film perché erano frigidi, ma oggi la camera ha ripreso a muoversi assecondando il desiderio, la passione. Autori come Crialese, Garrone, Sorrentino o Bechis andrebbero sostenuti di più, anche sui giornali.
Cosa ti ha conquistato del tuo personaggio, la moglie di Ripley?
L’ambiguità. La compagna di un uomo forte come Ripley non poteva essere una femmina succube. Rispetto al romanzo, dove è una borghese viziata e viziosa, Liliana l’ha trasformata in una clavicembalista che vive il suo lavoro con grande passione pur amando suo marito. Una singolare miscela di coinvolgimento e indipendenza.
Ma in che senso parli di ambiguità?
Cosa sa dei crimini del marito? E’ sua complice o solo rispettosa della sua libertà? Non ha la piccola ipocrisia della borghese sposata a un faccendiere che fa finta di ignorare i suoi traffici per mantenere il benessere materiale, eppure, quando lui la invita ad anticipare la partenza, lo fa senza chiedere nulla. Liliana, per spiegarmi il personaggio, mi diceva: la sua filosofia è carpe diem. È questo che le dà una forza granitica.
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