Nel primo trimestre 2017 la quota di cinema italiano del box office è pari al 21%, una cifra lontana da quel 33% miglior risultato annuale e ancora più lontana da quel 49% del primo trimestre 2016 grazie a Checco Zalone e a Perfetti sconosciuti. Sono questi numeri elencati da Franco Montini, presidente del SNCCI, in apertura dell’incontro Dica: 33″ – Consulto sul cinema italiano, svoltosi all’Agis e organizzato dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani e dalla Federazione Italiana Cinema d’Essai. Montini richiama l’allarme lanciato nei giorni scorsi dai registi Marco Risi e Carlo Verdone sullo stato di salute del nostro cinema che è visto da pochi e che non saprebbe raccontare la nostra società.
Il produttore Riccardo Tozzi ricorda che la linea discendente del cinema italiano non si arresta dal 2013, in tre anni è andata persa la metà del pubblico che va in sala a vedere le opere italiane, e la sua sorte non dipende da leggi e leggine. “Dobbiamo invece partire da quella seconda rivoluzione televisiva che modifica la collocazione del nostro cinema con le nuove piattaforme e le pay tv. Sky, Amazon e Netflix hanno creato un pubblico internazionale di consumi culturali. C’è un’enorme domanda di serialità tv originale, che è soddisfatta grazie un prodotto internazionale che propone qualità sia nel testo sia nel linguaggio. Questo è il concorrente del cinema ma rappresenta un potenziale di grande creatività. Del resto – avverte Tozzi – lo specifico di certa produzione seriale televisiva italiana è l’apparentamento con il cinema, vedi le serie già nate da Gomorra e Romanzo criminale, e quelle prossime ispirate a Suburra, Suspiria e Django”.
Domenico Dinoia, presidente della Federazione italiana cinema d’essai, sottolinea come si fatica a trovare un prodotto adatto alle sale aderenti alla Fice, perché il cinema d’autore italiano ha numeri piccoli e “ciò spiega il fatto che il pubblico guardi con interesse al cinema straniero. Quanto al rapporto tra serialità tv e film non vorrei che si arrivasse a distinguere tra un prodotto di qualità A e uno di qualità B”.
Il critico Fabio Ferzetti evidenzia come il nostro cinema sia caratterizzato “da un’epidemia di opere prime e ultime come diceva Ettore Scola. Il primo film non si nega a nessuno, un’opera seconda non è certo scontata. C’è una produzione largamente parassitaria e invisibile di cui il pubblico non se ne accorge, e certi produttori guadagnano sul film realizzato piuttosto che su quello distribuito. Solo il documentario dimostra inventiva e capacità di sguardo. Il nostro cinema poi fatica imporsi all’estero, tant’è che l’84% degli spettatori proviene dall’Italia. Non esiste un cinema italiano riconoscibile e coerente”. E Ferzetti vorrebbe più rischio e scoperta e ricorda quanto Mainetti e Caligari abbiano faticato a produrre i loro film.
Il regista Daniele Vicari traccia una fotografia spietata del cineasta medio italiano che è maschio, adulto e ricco. “Questo autoscatto mi ha fatto pensare di ricominciare dalla formazione, in particolare dalla scuola Gian Maria Volonté frequentata in proporzione esatta da ragazzi e da ragazze, rompendo con quel nostro cinema che è prerogativa di una classe medio alta e favorendo l’immissione di nuove energie”.
Giona Nazzaro, delegato generale della SIC, guarda con ottimismo allo stato di salute del nostro cinema che ora mostra maggiore vitalità creativa in tutti gli ambiti e ricorda con soddisfazione che ben 6 autori italiani saranno presenti alla 49esima edizione di Vision du Réel, tra i più importanti festival europei dedicati al cinema documentario che si terrà a Nyon dal 21 al 29 aprile.
Andrea Occhipinti, presidente dei distributori ANICA, si augura che l’aumento del tax credit sulle spese di distribuzione previsto dalla nuova legge cinema non provochi un ulteriore aumento di film e parla della scomparsa del passaparola, dei troppi film inutili che confondono il pubblico e di un processo di scrittura poco curato rispetto all’estero dove una sceneggiatura viene riscritta tante volte.
La presidente dei produttori ANICA Francesca Cima sottolinea come il pubblico giovane non vada a vedere il cinema italiano. Una quota del box office è fatta da ragazzi che non trovano quel prodotto italiano medio di qualità, mentre la serialità tv e la pirateria hanno formato un pubblico che ricerca novità e non viene intercettato dal nostro cinema.
Fulvio Lucisano suggerisce che il costo del biglietto per i giovani non superi i 5 euro, unico modo perché questo pubblico non scelga solo la tv.
Vito Zagarrio non condivide l’analisi catastrofica convinto che il rinnovamento e nuova linfa vengano dalle contaminazioni di formato, a cominciare dal documentario: Frammartino, Giovannesi, Marcello e Costanza Quatriglio.
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