Charlotte Rampling: “Il portiere di notte è sempre attuale”

Orso alla carriera per l'attrice britannica, diventata icona internazionale grazie al film di Liliana Cavani che nel 1974 fece scandalo


BERLINO – “Erano gli anni ’70, si incominciavano a dire cose che non erano mai state dette prima e a fare cose in maniera diversa. Una di queste fu Il portiere di notte. È stato girato in un modo insolito dal punto di vista del gusto del pubblico, trattava un tema scottante come quello dell’Olocausto con rispetto ma con toni differenti, anche con una componente sessuale, erotica, che teoricamente era inaccettabile. Quello che invece è successo è che ha avuto un impatto incredibile sulle persone, ha detto ciò che andava detto ed è entrato nel cuore e nel corpo delle persone, anche di quelle che lo hanno ritenuto impossibile da vedere e lo hanno rifiutato”. E aggiunge: “Il film è sempre attuale, non necessariamente in quel contesto, ma le persone continuano ad essere torturate e solo Dio sa se questo potrà mai avere fine”. 

Per il massimo omaggio della Berlinale, ovvero l’Orso alla carriera, Charlotte Rampling torna a parlare del ruolo che l’ha trasformata in un’icona indelebile nella memoria degli spettatori di tutto il mondo, la protagonista de Il portiere di notte, proiettato stasera al Palast alla presenza della regista Liliana Cavani – che, intervistata sul red carpet, annuncia l’intenzione di tornare a lavorare con Rampling – nella copia restaurata dal Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale con Istituto Luce Cinecittà. Il morboso e mortifero intreccio di attrazione e repulsione tra un gerarca nazista e una ex internata in un Lager che si ritrovano in un albergo nella Vienna del 1957, fece scandalo, all’epoca, a metà degli anni ’70, fu censurato, vietato ai minori di 18 anni, e venne esecrato anche da certi critici perché accusato di “titillare” il gusto dello spettatore sfruttando una pagina mostruosa della storia del Novecento a fini erotici. Si sbagliavano perché resta invece un film esemplare nel cogliere aspetti inquietanti e notturni della psiche umana rispetto all’immensa tragedia dell’Olocausto.

La laconica Rampling parla volentieri di quella straordinaria esperienza e rievoca la sua amicizia con Dirk Bogarde, il protagonista maschile. “Lo conobbi sul set de La caduta degli dei di Luchino Visconti. È stato lui a dire a Liliana Cavani: ho trovato la ragazza. Ho accettato in nome della mia amicizia con lui anche perché quando ho letto la sceneggiatura ho pensato: Oh, Mio Dio!. In fondo avevo appena avuto un bambino che aveva 3 mesi all’epoca. Eppure sapevo di doverlo fare, mi capita sempre così ancora adesso con i ruoli che scelgo. Sapevo che con Dirk sarei stata al sicuro e abbiamo portato la relazione tra i nostri personaggi ad un altro livello, facendola diventare una storia d’amore”, ha raccontato l’attrice, 73 anni compiuti il 5 febbraio.

L’attrice britannica risponde alle domande dei giornalisti con un pizzico di sarcasmo parlando della sua carriera iniziata in un certo senso per caso, senza scuole di recitazione, il suo debutto avvenne con un piccolissimo ruolo in Non tutti ce l’hanno (1965) di Richard Lester, vincitore della Palma d’oro a Cannes. Bellezza androgina e non convenzionale, deve molto al cinema italiano. Nel 1968, appena ventiduenne, viene da Luchino Visconti ne La caduta degli dei: è una madre che viene deportata, assieme ai suoi bambini, in un campo di concentramento, una donna molto più grande di lei, nella finzione.

Altro incontro fondamentale, in tempi più recenti, è quello con François Ozon con cui gira due film notevoli: Sotto la sabbia (2000) e Swimming Pool (2003), candidati entrambi a Cèsar ed EFA. Nel 2015 arriva l’Orso d’argento al Festival di Berlino con 45 anni di Andrew Haigh, dove recita a fianco di Tom Courtenay (anch’egli premiato) in un intenso ritratto di una coppia che sta per festeggiare i 45 anni di matrimonio. Un altro titolo scelto per l’omaggio berlinese è Hannah di Andrea Pallaoro, Coppa Volpi a Venezia nel 2017. Sono tutte figure femminili inconsuete, divise tra fragilità e durezza. 

Non mancano le domande sul movimento che sta scuotendo gli equilibri del cinema: “Non ho mai pensato, parlando del #MeToo, che un uomo mi potesse dire cosa fare e non ho mai subito questo tipo di pressioni, forse avevano paura di me”, risponde. E aggiunge che la questione del gender gap è “incredibilmente importante”.

Giura di non guardare indietro, ma neppure avanti: “Lei sa cosa farà tra dieci anni? Beh, complimenti. Per parlare del futuro le do appuntamento qui tra una decina d’anni”. E’ notizia fresca, però, che avrà un ruolo in Dune, nuovo adattamento del romanzo scritto da Frank Herbert e diretto da Denis Villeneuve, dove sarà la reverenda Madre Mohiam, la veggente al servizio dell’imperatore in grado di prevedere le intenzioni delle persone, individuare le menzogne e manipolare gli stati emotivi degli altri. Nel cast ci saranno anche Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Dave Bautista e Stellan Skarsgard.

Raramente le arrivano copioni perfetti, ma due volte è accaduto. Con Max, mon amour (1986) di Nagisa Oshima e con il citato 45 anni. “Nella recitazione sono istintiva, non ho un metodo specifico per prepararmi. Cerco di essere il personaggio, di contattare i suoi sentimenti. Per esempio, è stato così in Hannah, dove sono una donna posta in una situazione estrema. Per me non c’è mai bisogno di molte parole per esprimermi”. 

Infine una battuta sull’Orso d’oro: “Mi fa molto piacere perché ne avevo già uno d’argento e quando l’altro giorno mi hanno chiesto: dov’è quello d’oro? ho risposto: lo vado a prendere e torno. Li metterò insieme. E poi mi fa piacere riceverlo da Dieter Kosslick, che ammiro enormemente, sono toccata da questo premio”.

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