Qual è il prezzo della democrazia? E se fosse la nostra felicità, saremmo disposti a pagarlo? Dopo il bellissimo film candidato all’Oscar Lunana: Il villaggio alla fine del mondo il regista Pawo Choyning Dorji ci riporta nel suo affascinante Paese d’origine, il Bhutan, con i suoi paesaggi mozzafiato e la sua popolazione gentile e devota. Un lieto ritorno, senz’altro. Il suo secondo film C’era una volta in Buthan, titolo evocativo ma che si distanzia notevolmente dall’originale The Monk and the Gun, arriva nelle sale italiane dal 30 aprile con Officine UBU. Il lungometraggio ci fa tornare indietro di una ventina d’anni, nel 2006, anno cruciale per la storia bhutanese che ne ha segnato l’ufficiale ingresso nella modernità.
Nel giro di pochi mesi, i cittadini di questa nazione sperduta tra le valli Himalayane si sono aperti al mondo, scoprendo la televisione, internet e, soprattutto, la democrazia, grazie all’improvvisa scelta del re di abdicare. In questo contesto, che ha portato in pochi anni cambiamenti che i paesi occidentali anno sperimentato in secoli, il regista ci racconta una storia corale, che ruota attorno alla scelta delle autorità locali di insegnare alla popolazione i più fondamentali rudimenti democratici, organizzando delle elezioni simulate anche nei più remoti villaggi rurali.
Le vicende di una supervisora elettorale, di una famiglia, di un anziano Lama (leader spirituale buddhista) e del suo assistente si intrecciano a quella di Ron, un collezionista di armi statunitense che arriva in Buthan per acquistare un fucile dall’incredibile valore storico. Il punto di vista di Ron, in particolare, ci permetterà di cogliere l’eccezionalità del contrasto tra il sistema bhutanese – regolato da principi religiosi e un’economia di stampo feudale – e quello occidentale. Il valore del denaro, il potere delle armi, i compromessi della politica sono tutti aspetti che C’era una volta in Buthan rimette completamente in discussione, portandoci in un luogo totalmente alieno. Un modo per specchiarci e vederci dall’esterno.
“Come facciamo a essere sicuri che la democrazia sia la strada giusta se non è un insegnamento del Buddha?”: questa innocua domanda nasconde molta più verità di quanto potrebbe sembrare. Perché ogni cambiamento porta aspetti positivi, ma anche negativi, stravolge degli equilibri, rischiando di rovinare la vita di tante persone innocenti. Il fucile attorno a cui ruotano tutte le vicende – insieme al personaggio di 007, all’acqua nera detta Coca-Cola e a MTV – diventa una rappresentazione fisica di cosa vuol dire modernità: un’opportunità di cambiamento ricca di potenzialità e, al tempo stesso, di rischi.
Ne vale davvero la pena? Questo film – che conferma il talento di Pawo Choyning Dorji nel raccontare una storia con leggerezza e ironia – non ci dà la risposta, ma ci indica gli unici valori ai quali nessuna società dovrebbe rinunciare, a prescindere dal suo livello di “modernità”: la pace, la giustizia e il senso di comunità.
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