CENSURA OGGI


Dopo la condanna al rogo per Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, i magistrati si stancarono di dare corso alle denunzie di singoli cittadini o di associazioni sorte per la difesa della cosiddetta pubblica moralità. Così il problema della censura alla fine degli anni ’70 venne risolto all’italiana con la creazione, non ufficiale, delle “sale a luci rosse”, finché anche queste andarono in crisi. Ciò accadde il giorno in cui i consumatori di hardcore poterono ricorrere al mercato incontrollabile delle videocassette, o praticare il sesso interattivo a mezzo internet.
Funny games Alla censura preventiva fu consentito soltanto di stabilire il divieto ai minori di 18 e di 14 anni, pratica assolutamente innocua, fin quando lo spettatore adulto andava al cinema per cercarvi il brivido del peccato. Ricorderete che sino agli anni ’80 il “divieto ai minori” diveniva un’esca per riempire la sala, tanto vero che, nei flani pubblicitari, distributori ed esercenti amavano aggiungere all’aggettivo “vietato” avverbi del tipo “severamente”, “rigorosamente” e così via.
Ma ora che, con l’ampliamento dell’offerte di film attraverso altri mezzi, le pellicole vietate ai minori non costituiscono più un’esca, bensì una jattura, perché il cinema è divenuto teledipendente e ogni divieto limita o blocca i proventi derivati dalla cessione dei diritti d’antenna, ecco che il problema è tornato a emergere. La censura, per venire incontro alle esigenze di esercenti e distributori, lascia passare pressoché tutto senz’alcun divieto: da Funny Games di Haneke a Legami di Almodóvar. Quasi mai qualcuno se ne accorge, soprattutto se si tratta di un “film di nicchia”, che interessa solo i cinéphiles.
Il problema nasce, quando questi film vengono trasmessi in televisione. Allora si scatena il putiferio. D’altra parte, la legge parla chiaro: i film senz’alcun divieto sono trasmissibili in prima serata; quelli vietati ai minori di 14 anni possono andare solo a partire dalla seconda serata; quelli vietati ai minori di 18 anni mai, a meno di non ripresentarsi in censura, per farsi suggerire gli opportuni tagli.
Gli ultra-liberisti insorgono, dicendo che a questo punto la legge non è uguale per tutti: il telespettatore non godrebbe della stessa libertà garantita al frequentatore del cinema, in sala. D’altra parte come garantire la tutela, se non dei minori, almeno dei bambini?
Manon Lescaut Morando Morandini raccoglie sull’ultimo numero di ‘Film-Tv’ una notizia diffusa da ‘Le Monde’, secondo la quale sarebbe in progetto la realizzazione di film in diverse versioni, a seconda del pubblico chiamato a vederli, a della loro destinazione (sala cinematografica, televisione, videocassetta). Morandini conclude, scrivendo che la madre del peggio è sempre incinta.
Personalmente sdrammatizzerei, notando che in tal caso il cinema ritornerebbe semplicemente alle proprie origini, quando – all’epoca del muto – i film apparivano in diverse versioni, secondo i gusti dei pubblici, cui erano destinati. Mi è capitato di vedere una Manon Lescaut tedesca, datata I926, con doppio finale: nel primo veniva rispettato l’esito drammatico, previsto dal romanzo dell’abate Prévost, con l’imbarco di Manon e di Desgrieux sulla galea, che li condurrà alla morte; nel secondo i due amanti venivano perdonati dal padre di Desgrieux, che li accoglieva in casa propria, dove – si suppone – avrebbero vissuto a lungo felici.
Non si trattava di un filmetto qualunque: prodotto dal grande Erich Pommer,Manon Lescaut era diretto da Arthur Robinson, cui si deve almeno un “classico”, quell’Ombre ammonitrici, sul quale si dilungano tutte le storie del cinema.
Ma allora, come ama insistere Monicelli, si facevano capolavori, senza avanzare pretese di autori: anche i grandi registi non esigevano l’intoccabilità delle loro opere; si sentivano eredi della commedia dell’arte.

14 Febbraio 2003

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