Dopo trent’anni di esperienze formative e professionali nel mondo del cinema statunitense, la regista, sceneggiatrice e produttrice Cecilia Miniucchi è tornata nel suo paese d’origine, l’Italia, per girare il suo nuovo film. Si tratta di No Place Like Rome, commedia romantica con protagonisti Cristiana Capotondi, Stephen Dorff e Radha Mitchell, le cui riprese si sono svolte tra Roma e le campagne dell’Umbria. Una storia sentimentale tra un fotografo americano, in Italia per un reportage, e la curatrice museale che lo accompagna.
Abbiamo avuto l’occasione di parlare con la cineasta, l’unica e prima regista italiana che ha iniziato e continua a fare oggi film a Hollywood.
Cecilia Miniucchi, come è stato girare per la prima volta in Italia dopo tanti anni negli States?
Abbiamo appena finito, pochi giorni fa. La mia prima volta in Italia è stata… interessante, diciamo. Sono talmente abituata a lavorare negli Stati Uniti che mi sentivo un pesce fuor d’acqua nel mio stesso paese. Modi di fare completamente diversi. Tutto diverso.
Una sensazione strana trovarsi straniera nel proprio paese d’origine.
Sì, ma mi ha fatto piacere questo esperimento.
Se casa sua è Hollywood, il genere in cui si sente più a suo agio è quello sentimentale?
Viene qualificato in questo modo, ma io penso alle storie. Mi interessano quelle che hanno a che fare con la condizione umana, con i rapporti, le relazioni. L’amore, l’amicizia, gli ostacoli esistenziali, il filo che divide il reale e l’assurdo. Poi sono gli altri ad essere interessati a rinchiuderle in una scatoletta. Io scrivo una storia, che poi è quella che è.
Nelle sue ultime storie c’è però il tema di due persone provenienti da luoghi diversi, con background diversi, che scoprono un’affinità. Forse sono temi legati alla sua esperienza di vita.
Certo. Ho sempre vissuto così, adattandomi a un’altra cultura e cercando di far funzionare i miei costumi con quelli degli altri. Credo comunque che ogni volta che scrivi, il subconscio fa venire fuori in qualche modo qualcosa di autobiografico, rivestito di altre sembianze, magari. Ma se il lavoro è onesto, stai parlando di cose che conosci bene. Le regole per fare un film quantomeno discreto sono queste: parlare di qualcosa che conosci bene, che possegga qualcosa a cui gli altri si possano interessare e, infine, avere i mezzi per poterlo raccontare.
No Place Like Rome – Cristiana Capotondi e Stephen Dorff sul set
Il suo ultimo film I Love Amsterdam… and You? si ambienta in Olanda. Lì è stato più facile lavorare?
In Olanda hanno un modo di lavorare più simile a quello americano che a quello italiano. Più snello, meno burocratico. Qui è tutto legato a tanti sindacati, regole, burocrazia: è un sistema molto più complicato che non invoglia a fare di più. Ci sono incentivi materiali, ma non ci sono altre facilitazioni, soprattutto i giovani non sono stimolati. In Olanda nella troupe erano tutti giovanissimi, qui in Italia erano tutti di mezz’età. Anche qui, forse, la gioventù ha meno spazio, minore possibilità di sviluppo, di crescita, di lavoro. Penso sia davvero un problema. Anche la mentalità di non volere dare spazio ai giovani, che sono la forza e la speranza di una società. Cosa che, invece, accade in America.
Consa consiglierebbe a un giovane cineasta che vorrebbe trasferirsi oltreoceano?
Quello che posso consigliare è di avere tanta tenacia. Ma ci vuole anche fortuna. Questo vale nella vita, ma nel nostro mestiere ancora di più. Dico con tristezza che sono la prima e, per adesso, unica regista italiana che abbia iniziato negli USA e continui a lavorare nel cinema americano. Tutti gli altri sono venuti con un lavoro già fatto in Italia. Ma perché? Perché è difficilissimo. Gli Stati Uniti sono un paese pieno di spazi, meritocrazia e possibilità, ma anche lì, nel mondo del cinema, ci sono molti ostacoli. Le donne in particolare, trovano molte difficoltà. Io ne incontro in continuazione.
Qualcosa sta cambiando in America per le registe donne?
Quelle americane sì, ma io non lo sono. Non sono mai rientrata nei gruppi che vengono appoggiati: quando ero giovane, figurati, poi è arrivato il movimento “politicamente corretto”, che voleva registe giovani sì, ma le voleva afro-americane o indiano-americane o latino-americane. E adesso essendo una donna, non più giovanissima e non appartenente a nessuna minoranza, non rientro proprio in nessuno standard. L’unica cosa che mi facilità è l’esperienza che ho accumulato. A me interessa il cinema indipendente, con la nostra compagnia di produzione e gli investitori che credono in noi, speriamo di continuare a lavorare.
Recentemente avete lavorato anche a una serie, Off the Walls.
La stiamo finendo e speriamo di poterla collocare in tutti i Paesi del mondo. Abbiamo episodi con Keanu Reeeves, Jack Black, John Lithgow, Awkwafina, Conan O’Brien. Racconta dell’incontro tra la performing art e l’arte visiva. È qualcosa di molto originale, con tutti i lati positivi e negativi che comporta.
Che rapporto avete con le piattaforme?
Le piattaforme sono ormai lo sfocio di quasi tutte le opere indipendenti. Esclusi i grandi film d’intrattenimento, sono pochi che riescono ad avere un successo di sala – come è capitato recentemente ad Anora – che in genere vengono lanciati dai festival. Noi abbiamo un rapporto con IFC, che è supportata da AMC. La vera tristezza è che al cinema ci va sempre meno gente. Sean Baker ha dovuto fare un appello: andate al cinema, perché è un’esperienza umana, di contatto, di interazione. So che lo storytelling non finirà mai, ma spero che anche le sale non muoiano. I distributori, in merito, devono far sì che ci sia una regressione del fenomeno, non una progressione. Per una volta, bisogna tornare indietro.
Torniamo a No Place Like Rome, cosa cercava nei due protagonisti?
Volevo un uomo affranto, distrutto, che avesse un aspetto esteriore da artista. Lui è un fotografo, in Italia per un reportage, e viene da un divorzio che lo ha fatto molto soffrire. In lei cercavo il contrario: una donna estroversa, piena di vita, che riuscisse a farlo uscire da questo tormento e farlo aprire di nuovo alla vita e all’amore. Cristiana Capotondi è stata bravissima a interpretare questo personaggio, a tirarlo fuori dalla pagina. Mi ha subito detto: io amo Scintilla. Lei e Stephen Dorff sono due grandi attori, che non posso che ringraziare per le loro performance di livello.
Nel film c’è anche Radha Mitchell, che aveva recitato nel suo film Life Upside Down al fianco di Bob Odenkirk. Cosa ama di più di questa attrice?
La cosa incredibile di Radha è la sua grande versatilità. Lei è incredibilmente capace di rendere il suo ruolo comico, è spigliata, ha inventiva. La sua vena comica è evidente. Io l’ho usata in questo modo: lei interpreta diversi ruoli, pur essendo sempre se stessa. Perché il suo personaggio fa tanti lavori. Libraia, guida turistica, giornalista, chiromante. Un leitmotiv di leggerezza che lega tutto il film.
Quando potremo vedere il film?
Spero che riusciremo a farlo uscire per l’autunno in qualche festival. È un film che ha anche un’ambientazione natalizia, sarebbe bello che uscisse prima di Natale.
No Place Like Rome – Radha Mitchell sul set
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