VENEZIA – Un ruolo, quello di Lydia Tár, “scritto non pensando a Cate Blanchett, ma per Cate Blanchett”, aveva già affermato Todd Field, autore del film in Concorso, nella presentazione stampa al secondo giorno di Festival (leggi articolo).
Il potere, l’architettura identitaria dell’individuo, la fiducia, l’orientamento sessuale, sono parte del prima che costruisce il personaggio e a proposito di cui Blanchett affermava, in riferimento a se stessa, ma con una riflessione connessa al film: “Credo che io stia ancora diventando ‘chi sono’, stia ancora spiccando il volo, non ho mai visto la mia identità come una cosa statica. Una cosa fondamentale, come metafora della storia del film, è la fiducia: necessaria in qualsiasi rapporto interpersonale; alcuni sono in grado di perdonare quando la si perde, altri no. Lydia è stata tradita, ha difficoltà ad aver fiducia e il perdono è difficile”.
Con la Coppa Volpi tra le mani, dal palco della cerimonia di premiazione della Mostra, l’attrice dichiara: “è un onore questo premio. La cosa meravigliosa di questo Festival è che invita il pubblico nelle sale, ho visto film con performance incredibili. Essere qui per la Coppa Volpi è grazie a una squadra: grazie a Nina Hoss che adoro e all’orchestra di Dresda, e non sarei qui senza una sceneggiatura incredibile e un regista meraviglioso, per cui il Premio appartiene anche a Todd Field. Sono felice lui sia tornato a fare film, mi ha cambiato la vita come attrice e essere umano: un grande regista sa dove porre la camera e lui lo sa fa ogni secondo. Ringrazio le persone che nel mondo fanno musica, che ci ispira e ci ha aiutato a vivere soprattutto negli ultimi due anni”.
Blanchett, che in Tár restituisce una prova di statura, un one-woman-show magistrale, in particolare in alcune sequenze specifiche, come quella dell’intervista con il “New Yorker” in cui – quasi fosse un monologo – si dipinge nella sua grandiosità e complessità agli occhi del pubblico, quello della scena e quello della sala, durante la conferenza che ospita tutti i vincitori della 79ma Mostra, continua la sua riflessione sul ruolo e sul premio: “Questo Festival mi è caro. È un centro fondamentale e se guardate alla Giuria, avere il loro rispetto è davvero importante. Il Premio raccoglie una serie di temi a cui tu hai pensato per conto tuo, che va al di là di quello individuale e Field ha scritto un film straordinario: a volte serve collaborare con qualcuno. Sono felice di averlo incontrato e credo di essere stata cambiata per sempre da lui. Questo Premio appartiene a lui, il personaggio, le idee, le idee pericolose, provengono tutte da lui”.
E l’arte, aggiunge: “Credo sia sempre in pericolo, perché l’arte è una provocazione, dura, poco gentile. Tanti artisti rimangono ai margini della società. E’ un rischio ma anche una provocazione verso di noi, che manteniamo uno spazio in cui tutto rimane così emozionante. Non credo che l’arte sia solo formazione, ma faccia domande alla gente e i film non sempre hanno risposte: abbiamo poco tempo, non credo nessuno lavori solo per il successo, ma tutti noi cerchiamo questo spazio”.
E' possibile iscriversi per team di nazionalità italiana composti da registi alla loro opera prima o seconda, associati a produttori che abbiano realizzato almeno tre audiovisivi
"Il cinema italiano ne esce bene. E anche Netflix". Bilancio di fine Mostra per il direttore Alberto Barbera e il presidente Roberto Cicutto. Si registra un +6% di biglietti venduti rispetto al 2019. Tra i temi toccati anche il Leone del futuro ad Alice Diop, documentarista attiva da più di dieci anni
Abbiamo incontrato il regista Leone d’argento – Miglior Regia: “Non penso sia un film horror ma una storia d’amore, come non credo che L’Esorcista non sia un horror ma un film bergmaniano fatto a Hollywood”. Bones and All esce in Italia – e nel mondo – dal 23 novembre
A volte i veri protagonisti sono gli assenti, come il regista dissidente Jafar Panahi, imprigionato da ormai due mesi, a cui Luca Guadagnino e Laura Poitras dedicano i loro premi