VENEZIA – “Il film non l’ho scritto pensando a Cate Blanchett, ma per Cate Blanchett”, afferma subito Todd Field, autore di Tár, in Concorso alla Mostra.
Lydia Tár è “una delle figure musicali più importanti del nostro tempo”, recita il film stesso, vicenda sulla prima donna della Storia a essere direttrice di una delle più importanti orchestre tedesche. Un’esistenza al vertice: viaggi e spostamenti su aerei privati, abiti esclusivamente sartoriali, il suo mentore è Leonard Bernstein, la sua affinità artistica massima l’ha con Mahler. Quelli proposti da Field, spiega la Blanchett: “sono personaggi molto umani: veniamo invitati a guardarci come mosche sulle pareti bianche. E questo è un film di una trasformazione, ma – allo stesso tempo – anche il personaggio si è evoluto ed è cambiato: una cosa che forse non è mai cambiata, e a cui sono sempre tornata, è la questione che lei sia una persona che non conosce più se stessa. Lei è un essere di contraddizioni”.
Insomma, Lydia Tár è un personaggio che ha a che fare con il potere, con l’analisi dell’architettura identitaria dell’individuo, con il concetto di fiducia, questioni a proposito di cui Cate Blanchett afferma, in riferimento a se stessa persona, ma in un discorso che abbraccia con naturalezza le colonne del racconto: “Credo che io stia ancora diventando ‘chi sono’, stia ancora spiccando il volo, non ho mai visto la mia identità come una cosa statica. Una cosa fondamentale, come metafora della storia del film, è la fiducia: necessaria in qualsiasi rapporto interpersonale; alcuni sono in grado di perdonare quando la si perde, altri no. Lydia è stata tradita, ha difficoltà ad aver fiducia e il perdono è difficile”.
Ci si addentra nel film abbastanza subito, con una densa intervista che un giornalista del “New Yorker” le rivolge dal vivo dinnanzi ad un vastissimo pubblico, e da qui parte per diversi minuti e sequenze una sorta di monologo, quasi teatrale, sicuramente “addominale” e di cuore, in cui Tár si racconta, a quella platea, a noi platea dinnanzi al grande schermo, e lo fa con consapevolezza di talento e di ciò che ha dovuto conquistare per essere il Maestro che è riconosciuta sia, ma anche con un fattore emotivo che destreggia abilmente tra le trame della volitività, come se non volesse in fondo lasciar troppo spiraglio all’umanità, laddove – in una donna – erroneamente potrebbe essere letta come debolezza.
“È interessante l’uso della parola ‘orrore’ – che qualche giornalista in conferenza stampa usa, in riferimento a una specifica sequenza in una casa chiusa (ndr): la tormenta il suo passato, una persona, ma Lydia ha cercato di trasformarsi e essere salvata attraverso la musica. È stato affascinante lavorare su questo. Lui – Todd Field – è molto bravo a presentare i due volti delle cose: molto spesso ci ha dato l’idea di quello che potesse o meno esistere. Lydia è sull’Olimpo come artista, ma come essere umano sa che il prossimo passo la porterà verso il basso, e questo sì, richiede molto coraggio”.
Quello di Tár “è un viaggio molto lungo, in un tempo molto breve: la vediamo in un periodo di tre settimane della sua vita. È un personaggio con il senso dell’autorealizzazione, in un arco temporale molto compresso: c’è il lancio del suo libro e il suo ruolo con l’orchestra. Ha tutte queste forze esterne intorno, ma succede qualcosa e la sua vita cambia: si tratta di cose che probabilmente non avrebbe mai pensato di sentire e/o fare ma forse… è così, in grado di vedere in modo differente”.
Il film mette in scena – con naturalezza, senza insistenza, sia il discorso del pregiudizio, sia quello della tematica omosessuale: in una sequenza specifica Lydia viene chiamata in causa sul tema di essere chiamata “Maestro” e non “Maestra” e il personaggio afferma che non abbia problemi con il vocabolo maschile, ad intendere che non sia quella distinzione maschile/femminile la questione che determini il valore professionale. Lydia ha poi una compagna, Sharon, l’attrice Nina Hoss, musicista dell’orchestra che Tár dirige a Berlino.“Non avevo mai pensato al genere del mio personaggio o alla sua sessualità: è una rappresentazione umana. Come specie siamo maturi per guardare il film e non porre l’attenzione su questo tema. Non avevo riflettuto in anticipo sull’importanza che – l’essere tutte donne – avesse per il film: ho pensato fosse una grande componente umana”, aggiunge ancora Blanchett.
“Lydia e Sharon sono musiciste incredibili e con questo arriva la necessità di ottenere una libertà creativa. Mi ha aiutata il fatto che io sappia suonare il pianoforte e abbia studiato violino, abbiamo lavorato con la Filarmonica di Dresda, sono stati molto ospitali, hanno consentito di vivere qualcosa di unico. Eravamo incoraggiati da un passo musicale: Lydia aveva un ritmo e Todd marcava un tempo. Cate è stata fonte di grandissima ispirazione”, afferma l’attrice tedesca, permettendo così di riconnettersi anche ad un’altra sequenza del film, quella in cui la direttrice fa proprio un discorso – metaforico e non – sul “tempo”, che lei detta con il movimento specifico delle sue mani, secondo soprattutto quello che – dice – ha imperato da Bernstein, ovvero il “kavanah”, l’attenzione allo scopo che si vuole raggiungere.
Nel film – tutto al femminile appunto, questione su Blanchett afferma: “non è sulle donne, ma sugli esseri umani” – c’è un’altra donna, Francesca, un’altra espressione del “livello del potere”, perché lei – interpretata da Noemie Merlant – è l’assistente personale di Tár, ma aspira a un ruolo omologo al suo. “È un mondo che non conoscevo, molto mascolino e noi eravamo tutte donne, e Francesca è una donna che vuole diventare come Lydia: un personaggio nell’ombra ma paziente, che non si non sa se sia la cattiva, perché controlla un po’ la vita di Lydia. Come Noemie osservavo Cate, così come Francesca imparava guardando Lydia”.
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