“Un omaggio e un segno di rispetto per quello che le donne subiscono ogni giorno, non solo negli stupri etnici ma anche nei parchi pubblici delle nostre città. E un omaggio alle donne di Sarajevo che hanno ricostruito la pace”. Così Sergio Castellitto parla di Venuto al mondo. O meglio Twice Born, perché l’attore-regista è così legato alla sua versione originale da aver preferito mostrare questa, anziché quella doppiata, che pure circolerà nelle nostre sale dall’8 novembre con Medusa. Infatti tutti recitano in inglese o nella propria lingua, e Penélope Cruz – che ormai sente l’Italia come la sua seconda casa – si cala nei panni un’italiana che ama un fotografo americano (Emile Hirsch) ed è legata da una forte amicizia al bosniaco Gojko, attraversando trent’anni della vita di una donna, tre matrimoni, una maternità strappata alla tragedia di uno dei conflitti più cruenti e ignobili del XX secolo. Dopo Non ti muovere, l’attrice spagnola è tornata a lavorare con la coppia italiana Castellitto-Mazzantini: “Ho detto sì al progetto diversi anni fa, nel frattempo sono diventata madre e ho capito in modo ancor più profondo l’ossessione di Gemma, il mio personaggio, per la maternità”.
Penélope era incinta mentre girava e anche Margaret Mazzantini lo era quando andò per la prima volta a Sarajevo e concepì il primo nucleo del romanzo. “Riuscì a vedere l’assenza di futuro che è il virus della guerra in quella città ferita, dove vittime e carnefici oggi passeggiano insieme”, ci racconta Sergio. Che ha voluto arrivare al grande pubblico con uno stile diretto, spesso didascalico. “Mi muovo in una dimensione essenziale, fatta di archetipi: l’amore, l’amicizia, la morte, la guerra, il desiderio di maternità e paternità. Ho cercato di fare quello che io penso debba essere il cinema: una forte messa in scena, una spettacolare teatralità, le musiche che piacciono al pubblico e magari meno alla critica. L’ultimo documentario televisivo che ci arriva da Damasco è girato benissimo, ma non è cinema. Gli spettatori che vedranno Venuto al mondo non hanno vissuto l’assedio di Sarajevo, ma potranno portarsi via qualcosa di emotivamente forte che riguarda anche la loro esperienza diretta”. E aggiunge: “E’ vero ho usato il melodramma che per me è come un bisturi, un modo per far spurgar la ferita. Lo usano, del resto, anche Almodovar o Bellocchio”.
Per Adnan Haskovic (Gojko), che era un bambino durante la guerra: “Questo è uno dei migliori film sulla Bosnia, perché non è patetico e non fa vedere i cittadini di Sarajevo come vittime, ma come persone che lottano per sopravvivere”. Per l’attrice turca Saadet Aksoy (Aska, personaggio chiave nella vicenda): “La guerra mette fine ai sogni del mio personaggio che vuole andare a Londra a fare la musicista”.
Penélope Cruz, che probabilmente sarà tra gli ospiti del prossimo Festival di Sanremo, parla di Gemma come di un personaggio scomodo, a tratti antipatico: “Non mi chiedo mai se sono d’accordo col mio personaggio, cerco di capirlo e basta. Per lei l’ossessione della maternità nasce dal rapporto con l’uomo che ama e la frase chiave che pronuncia di fronte alla psicologa Jane Birkin è ‘voglio un lucchetto di carne’, vuole legarlo a sé”.
Il plot del film non è certo un mistero. E’ stato presentato al Festival di Toronto e a quello di San Sebastian (non ancora a Sarajevo), mentre il romanzo di Margaret Mazzantini da cui è tratto ha vinto il Campiello nel 2009. Ma c’è qualcuno che ha scoperto solo durante le riprese il doloroso mistero della nascita di quel ‘nato due volte’, il giovane attore che lo interpreta. E’ Pietro Castellitto, figlio del regista e della scrittrice, già sul set in famiglia con la commedia La bellezza del somaro, che ora rievoca i giorni convulsi delle riprese: “Non avevo letto il libro, l’ho letto strada facendo e ho scoperto verso la fine del film chi era mio padre, mentre ogni giorno, tornando a casa dal set, vedevo i miei sull’orlo della separazione”.
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