“Nel nostro film la malattia e il confronto con la morte sono un modo per scoprire la vita. Elsa, quando scopre di avere la leucemia, va alla ricerca di quelle piccole cose che non aveva avuto mai il coraggio di fare”. Carolina Sala parla a CinecittàNews del suo personaggio in Noi anni luce, opera prima di Tiziano Russo presentata in anteprima al Giffoni Film Festival, e attualmente nelle sale con Notorious Pictures. In questo racconto di formazione che parla di malattia, e dove non manca l’aspetto romantico, l’attrice di Conegliano Veneto, classe 2000, interpreta una ragazza che da un giorno all’altro ha bisogno di un trapianto e insieme al giovane Edo (Rocco Fasano), malato come lei, inizia un viaggio alla ricerca del padre, l’unico che può salvarla.
Carolina, chi è Elsa?
Mi ha ricordato me quando avevo 17 anni, anche se il percorso che fa, di scoperta della vita, è più traumatico. La malattia è un acceleratore che la porta a dover vivere tutto fino all’ultima goccia. Io non so come avrei potuto reagire alla notizia di essere malata, ma a quell’età c’è un’incoscienza che ti spinge ad affrontare un mondo nuovo senza pensare, anche decidendo di prendere e partire come fa lei. Nel confronto con la morte Elsa riesce a scoprire la vita e quelle cose che si era precedentemente negata per via delle sue insicurezze.
Che tipo di confronto c’è stato sul film con i ragazzi del Giffoni?
Alcuni di loro ci hanno raccontato le loro esperienze con la malattia. È stato intenso confrontarsi con giovani che hanno sentito e provato ciò che sentono i protagonisti. Ed è bello vedere quanto un film può suscitare delle emozioni reali. È anche il motivo per cui faccio questo lavoro. Spero che i lavori che faccio possano sempre dire qualcosa, dare un punto di vista diverso.
Oggi i giovani sono più legati allo streaming e al cinema vanno quasi esclusivamente per i blockbuster. Come accoglieranno il film in sala?
Sono cresciuta andando al cinema. Da piccola mi hanno sempre portato a vedere film in sala e anche in adolescenza ci andavo con gli amici. Per me un film va visto sul grande schermo. E credo che anche una storia, più piccola, ma intensa, come la nostra meriti di essere vista al cinema.
I tuoi esordi sono stati in tv, da Pezzi unici a Fedeltà. La serialità è un modo per i giovani di trovare una nuova e più giusta forma di espressione?
Questo sicuramente è il momento delle serie per tutti, sono le cose più seguite grazie alle piattaforme. Da attrice, però, non vivo questa differenza tra film e serie. Per me ciò che conta è raccontare belle storie.
Già nel precedente film Vetro, che ti è valso alcuni riconoscimenti, ti sei messa alla prova con un ruolo assai complicato.
È bello quando hai l’opportunità di confrontarti con ruoli che ti mettono alla prova. Nel caso di Vetro è stato il mio debutto come protagonista al fianco di un regista (Domenico Croce), anche lui al suo esordio. Abbiamo affrontato quella nuova avventura insieme. In generale, cerco ruoli che mi permettano di essere diversa da quella che sono.
Quando hai capito di voler diventare un’attrice?
Sin da piccola. A 15 anni ho iniziato a fare teatro e a 18, durante il liceo, ho conosciuto il mio attuale agente che mi ha dato la possibilità di affrontare questo mondo in maniera professionale. Sono arrivati i primi provini a Roma, prima della maturità.
E oggi come guardi al tuo futuro?
Razionalmente con positività. So che il mio lavoro sta andando bene, anche se questo è un mestiere anche incerto e qualche volta mi faccio prendere dalle insicurezze. Ci sono molti nuovi giovani attori che cercano di farsi strada in questo settore e i ruoli sono quelli. Ma io penso al mio, non mi preoccupo della concorrenza. Vado avanti per la mia strada. A breve uscirà un nuovo film, mentre ho appena finito di girare un cortometraggio.
Con chi ti piacerebbe lavorare?
Paul Thomas Anderson è uno dei miei registi preferiti. Trovo molto interessanti in Italia i fratelli D’Innocenzo. Ferzan Ozpetek è il regista del cuore mio e di mia mamma.
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