Carlos, il “Romanzo terrorista” di Olivier Assayas


“Non puoi fare il terrorista se sei famoso come una rockstar”. Lo dice Olivier Assayas presentando il suo film Carlos, storia di Ilich Ramirez Sanchez, celebre terrorista degli anni ’70, al servizio, basco in testa e pistola alla mano, del miglior offerente, dalla Palestina al Giappone fino al Sudan.

Lo avevamo visto a Cannes, nella sua originale, mastodontica versione di 5 ore e 19′, concepita per la tv. A Roma arriva in veste “snellita” – si fa per dire, visto che parliamo comunque di un colosso di tre ore – ma per il beniamino dei cinefili autore di Irma Vep, si è ben pronti.
Perfino agli intoppi del festival, che ha dovuto annullare in corner la proiezione prevista per martedì 2 novembre, e seguente incontro con il regista, a causa di problemi tecnici alla copia, giunta per ben due volte difettosa o, secondo le parole di Mario Sesti, che ha introdotto la proiezione, “in formato non adeguato agli standard tecnologici del festival”.

Ma oggi la pizza giusta è giunta e si può recuperare, a un giorno della chiusura, aggiungendo al già corposo pacchetto quattro minuti di intervista ad Assayas raccolti da Rai Cinema.
“In realtà ho cercato di essere minimale e sintetico – dice il regista – perché temevo che il film fosse troppo lungo”.
E, almeno per buona parte della pellicola, ci riesce, coadiuvato dal montaggio serratissimo e molto orientato all’azione di Luc Barnier e Marion Monnier, che non lascia davvero respiro.
“La velocità per me rappresenta lo spirito degli anni ’70 – sottolinea ancora Assayas -A quei tempi non c’era tempo per la psicologia, considerata anti-rivoluzionaria”.

La faccia del “male” è quella fascinosa di Edgar Ramirez, protagonista anche di un paio di nudi integrali che fanno sussultare le fanciulle. Scoperto sul set di Steven Soderbergh per cui ha lavorato nella prima parte dell’altrettanto fluviale Che, dedicato a Guevara, era il protagonista ideale per Assayas, che cercava un volto anonimo ma carismatico, per incarnare il terrorismo cosmopolita e folle che attraversò un’intera generazione sulle orme dell’utopia rivoluzionaria mondiale.

Non è facile costruire una fiction per la tv – ma ora arriverà in sala, da noi lo distribuirà Paco Pictures – se il protagonista deve suscitare attrazione e repulsione al contempo, se nemmeno per un momento l’occhio della cinepresa può identificarsi nel personaggio facendone un mito, come sa bene, ad esempio, il nostro Michele Placido che ha dovuto affrontare il problema sui set di Romanzo criminale e Vallanzasca.

“Non sono uno storico, né un giornalista – spiega Assayas nell’intervista – mi sono basato sulle fonti Internet e su una biografia, che però arriva agli anni ’90. Alcuni aspetti sono poi stati ritrattati, ma la mia idea di Carlos è che sia un uomo che si adatta ai tempi. Parte come un militante terzomondista, con molte idee comuni a quelle dei giovani della sua età, e finisce per diventare un soldato, un impiegato. Nel momento in cui è diventato troppo visibile, Wadie Haddad, capo del PFLP per cui lavorava, lo ha scaricato. Deve allora trovarsi un altro capo, e finisce per diventare un mercenario”.

Il film in Francia ha ricevuto molte recensioni entusiastiche, ma non tutti lo hanno gradito: il vero Sanchez, dal carcere parigino dove sta scontando l’ergastolo, ha accusato Assayas di “falsificazioni volontarie” e si è detto scandalizzato. “Sono ridicole le immagini dei rivoluzionari, mostrati come uomini isterici. Si trattava di professionisti, di commando di altissimo livello”.

autore
04 Novembre 2010

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