Carlo Verdone: “Smettiamo di copiare dai francesi”

Cinecittà News ha intervistato l'attore e regista a Parigi, in occasione della vetrina di cinema italiano oltralpe. "Siamo a corto di idee, quello che manca sono soggettisti e sceneggiatori"


PARIGI – Insieme a tanti giovani autori italiani, a Parigi in questi giorni per “De Rome à Paris”, c’era anche un monumento della nostra commedia come Carlo Verdone. Con umiltà e curiosità ha presentato al pubblico e ai distributori francesi Sotto una buona stella, ricevendo consensi e applausi. Abbiamo avuto occasione di incontrarlo per parlare della situazione internazionale del nostro cinema.

Cosa manca al cinema italiano per avere più successo nei mercati esteri?
Deve essere visto. Più lo mandiamo in giro e meglio è. Il problema è che in tante nazioni, come la Francia, c’è un grande protezionismo. Hanno talmente tanti film in uscita, fra quelli loro e gli americani, che c’è poco spazio per noi. Noi, invece, siamo molto più generosi. Vediamo film iraniani, di Taiwan, francesi, considerando poi che le loro commedie in questi ultimi anni hanno avuto risultati stellari. Perché sono ben fatte, ben scritte, c’hanno dato una pista. Noi dobbiamo lavorare per fare prodotti di buona qualità che devono essere scritti bene. Più sono regionali e meno hanno possibilità di dialogare con l’estero. I film, che siano commedie o meno, devono avere un soggetto internazionale, nell’idea, nella scrittura. Quando c’è tanto il dialetto vuol dire che il film è molto regionale. Può essere un handicap e te lo dice uno che di film molto romani all’inizio ne ha fatti tanti, ma all’estero ho venduto altri film come Io, loro e Lara o Il mio miglior nemico. Sotto una buona stella lo abbiamo venduto in molti paesi, anche se stiamo avendo delle difficoltà in Europa, ma ho avuto la soddisfazione di essere stato in sala a Ginevra durante il periodo natalizio in due cinema.

Qual è il motivo per cui le nostre commedie sono molto poco conosciute e vendute all’estero?
Se ci fate caso Ugo Tognazzi era un attore poco conosciuto, che è stato apprezzato quando poi è venuto qui in Francia a fare teatro. Perché era molto dialettale. Più le commedie si deregionalizzano e diventano nazionali e meno locali, più il film è traducibile. Spesso il dialetto ti può portare a fare una sceneggiatura poco accurata perché tanto sai che quella parola o quel dialogo in dialetto farà morire dal ridere la gente. La traduzione però può non avere quell’accuratezza necessaria a livello internazionale. Questo è il problema.

Più cura e attenzione quindi.
Assolutamente, e poi dei temi che riguardino l’oggi, che non guardino il nostro ombelico. Se sono attinenti a un argomento particolare, a un momento che riusciamo a fotografare, allora il film ha possibilità di essere visto all’estero. Deve, però, soprattutto essere scritto e diretto bene.

Ci sono dei giovani registi di commedie che ama particolarmente?
Ne ho visti tanti, come Giulio Manfredonia o Sydney Sibilia, ma ne dovrei citare altri venti. Ci sono dei ragazzi che hanno delle ottime possibilità. Puntiamo tutto su di loro, perché mai come in questo momento c’è bisogno di un ricambio generazionale. Dobbiamo cercare delle storie, ma possibilmente senza copiarle dai francesi. Alcuni grandi successi recenti sono dei remake di film francesi. È il colmo, noi una volta eravamo i maestri delle commedie, ora addirittura ci riduciamo a copiare quelle francesi? Non è un buon segnale. Vuol dire che scarseggiano le idee e ci sono pochi soggettisti e sceneggiatori. Il dramma del cinema italiano, secondo me, è proprio una penuria di questi ultimi. Se ce ne fossero di più avremmo fatto qualche film buono in più negli ultimi dieci anni. Sono scomparse persone importanti, il periodo è cambiato, però tutti vogliono fare i registi o gli attori mentre nessuno prende seriamente in considerazione la scrittura. Parte tutto da lì, un film se è mal scritto non sarà mai bello.

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23 Febbraio 2015

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