Veste i panni di un missionario comboniano in crisi e in fuga dall’Africa Carlo Verdone in Io loro e Lara, film che dirige e interpreta, “rifuggendo dalle gag facili”. Aveva nausea dei suoi personaggi borghesi e proletari e poi più viene messo in difficoltà e più dà il meglio di se stesso. Verdone definisce il suo nuovo lavoro “una commedia non all’italiana ma internazionale”, perché tale l’ha giudicata la Warner Bros., che l’ha molto apprezzata. Io loro e Lara, in sala il 5 gennaio 2010, è un film contro l’intolleranza dove alla fine prevale il buon senso e si stemperano i contrasti familiari.
Ha girato a Cinecittà. Da qui mancava dal ’91?
Vi girai Maledetto il giorno che ti ho incontrato. E’ una grande emozione esserci di nuovo. Vorrei che molti miei colleghi registi, non solo io e Pupi Avati, lavorassero in questi famosi studios al posto di tanta televisione. Ci sono strutture molto valide e vorrei che tornassero ai livelli di un tempo.
Come nasce “Io loro e Lara”?
Prima del set di Italians a San Pietroburgo avevo già l’idea di un film costruito intorno alle figure di un padre e di una figlia, ma alla quinta seduta di sceneggiatura ci siamo accorti che non funzionava. E’ nato così la figura di questo sacerdote, ma non ne faccio una caricatura come in passato. Il personaggio è inserito in una commedia teatrale e corale seria, ma non manca una carica di ironia che è parte del mio DNA.
Chi è Carlo?
Un missionario in Africa che vive un momento di crisi spirituale, la sua fede vacilla là nella missione dove si trova da solo ad affrontare difficoltà e a vedere tanta tragedia. Carlo torna così a Roma per incontrare i suoi superiori. Trova la comprensione degli alti prelati che lo consigliano di prendersi una pausa, e di tornare per un po’ in famiglia. Ma invece del calore familiare s’imbatte in un disastro totale: nessuno lo ascolta, anzi tutti gli buttano addosso i loro problemi. A cominciare dal fratello broker in crisi o dal padre che si tinge i capelli e fuma…
Carlo allora tornerà alla sua missione in Africa?
Il ritorno a Roma gli fa capire che da noi c’è qualcosa di malsano, mentre là in Africa non c’è bisogno della psicoanalisi, perché i problemi personali scompaiono di fronte alle tante difficoltà quotidiane.
Che abiti porterà?
Indosso un clergyman semplice non più di tre volte, per il resto sono vestito con abiti civili, come alcuni missionari che ho conosciuto.
Ha avuto suggerimenti da qualche religioso?
Ho avuto modo di conversare con monsignor Tonini che talvolta incontro al ristorante.
Perché ha scelto Laura Chiatti?
Più di due anni fa chiesi a Paolo Ferrari della Warner Bros. di farmi incontrare con Laura, perché la ritengo un’attrice il cui potenziale non si è espresso fino in fondo. Ha tempi recitatavi molto buoni. Del resto ho una certa predisposizione a valorizzare le attrici, come è accaduto con Eleonora Giorgi, Ornella Muti, Margherita Buy, Asia Argento.
Chi è il personaggio da lei interpretato?
Non posso dire molto perché così svelerei il finale. Lara è una guida turistica, vestita da Messalina. Un personaggio complesso intorno cui ruotano tutti gli altri. Una scheggia impazzita che entra di prepotenza nella famiglia di Carlo con i suoi problemi, anche a livello sentimentale.
Gli altri interpreti che ha scelto?
Marco Giallini è mio fratello Luigi, è un attore che ha tanti fan per la sua apparizione in Boris, parodia della fiction. Sergio Fiorentini, un vero attore di teatro, è mio padre; Anna Bonaiuto è mia sorella Beatrice, psicoanalista più esaurita dei suoi pazienti; Angela Finocchiaro è la psicologa.
Una parte del film è girata in Africa.
Sì in Kenya, a nord di Nairobi, a Samburu, 300 chilometri della Somalia, un luogo di missioni.
E le musiche?
Le ha curate Fabio Liberatori, ma ci sarà anche della musica africana.
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