Carlo Verdone: “A Stresa porterò la memoria storica della commedia”


TORINO – E’ assalito da una folla di giornalisti, fotografi, fan e cameramen Carlo Verdone al suo arrivo a Torino, dove è venuto a presentare il film della sua vita Lo sceicco bianco di Federico Fellini nell’ambito della sezione “Figli e amanti”. Come ricorda, fu il primo film che vide per intero quando era piccolo, e che segnò indelebilmente il suo cinema futuro, in particolare un personaggio diventato di culto. Ma c’è molta attenzione per un’altra notizia, che lo vuole, tra breve, direttore del nuovo Festival della Commedia che aprirà i battenti nell’estate 2011 a Stresa. Di questo e altro ci ha parlato Verdone, che si rivela innamorato della città di Torino: “E’ qui che nacqui artisticamente nel 1978, quando rimasi in città per tre mesi per registrare Non Stop.

 

Perché ha scelto proprio Lo sceicco bianco come film del cuore?

Lo vidi per la prima volta da piccolo, quando mio padre Mario, che era professore di cinema all’università, fece comprare all’ateneo un proiettore 16mm. Io e mio fratello Luca lo convincemmo a portarlo a casa, un giorno, e il primo film che vidi fu proprio Lo sceicco bianco di Fellini. Ne rimasi folgorato per la ricchezza di intuizioni, per il fatto che ogni singolo attore scelto da Fellini, anche i minori, fosse perfetto. Non ha mai sbagliato una faccia. E tra l’altro ha saputo raccontare Roma, con i suoi tic e difetti, meglio di chiunque altro.

 

C’è qualcosa di quel film che ha poi messo nel suo cinema?

Mi innamorai del personaggio interpretato da Leopoldo Trieste, era magnifico con la sua mania del controllo. E gli resi omaggio anni dopo in Bianco, rosso e Verdone con il personaggio di Furio, che vi è direttamente ispirato.

 

Sarà direttore del nuovo festival della commedia di Stresa. Che manifestazione sarà?

Lo saprò tra poco, sono qui a Torino anche per parlare di questo con chi di dovere. Sarei felice se il progetto andasse in porto. Se tutto va bene, si tratterà anche e soprattutto di un’operazione di memoria storica che compirò con l’aiuto di Mario Sesti e Angela Prudenzi, riproponendo la grande commedia italiana del passato con retrospettive, seminari, incontri. Sarà un festival a scopo didattico, per far capire alle nuove generazioni chi erano davvero Monicelli e Tognazzi, e colmare il buco nero che c’è tra i giovani rispetto alla commedia tra il ’45 e il ’75. Il festival dovrebbe svolgersi in luglio e avere naturalmente anche delle anteprime internazionali, ma vorremmo che fosse un progetto permanente, che preveda addirittura la creazione di una casa della commedia, per cui abbiamo già individuato un palazzo adatto. Non avrà niente a che vedere con il Terra di Siena Film Festival, di cui mi ero occupato in passato.

 

Sappiamo che sta lavorando al suo prossimo film, e che Muller le ha detto che gli piacerebbe averla in concorso a Venezia.

Sì, ma sicuramente non ce la farò con i tempi. Lo girerò per tre mesi, tra aprile e ottobre, tra Roma e Parigi ed è la storia di tre padri separati alle prese con gli alimenti. Voglio raccontare il dramma dei padri separati, che diventano padri poveri, naturalmente facendo anche ridere. Sicuramente nel cast ci sarà Micaela Ramazzotti, e aspetto conferme da Marco Giallini e Pierfrancesco Favino. Il titolo sarà Posti in piedi in Paradiso.

 

Secondo lei in che stato di salute è la commedia italiana oggi?

Un tempo l’ambiente era più compatto, c’era un bel blocco di registi che lavoravano spesso anche insieme. Oggi è tutto più casuale, un anno magari si fa una commedia sola, l’anno dopo se ne fanno cinque. Quest’ultimo anno però è stato buono, con titoli come il mio (Io, loro e Lara, NdR), La prima cosa bella di Virzì, Mine vaganti di Ozpetek e, perché no, Benvenuti al Sud. Anche se è un remake l’ho trovato grazioso, e se ha avuto tanto successo di pubblico un motivo ci sarà.

 

Lei è stato tra i primi a commentare la scomparsa di Monicelli.

Sì, mi hanno dato questa notizia tremenda per telefono. La sua scomparsa mi ha molto amareggiato. Io penso che il cinema dia sollievo perché offre la possibilità della condivisione e del contatto con il pubblico. E’ capitato a molti artisti di digerire male la perdita del successo, ma a me non succederà mai, perché conosco l’importanza di coltivare altri interessi, dedicarsi alla famiglia. Se tagli i ponti con gli interessi e le amicizie è facile scivolare nella depressione. 

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03 Dicembre 2010

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