Una commedia più matura sulla crisi matrimoniale e il ricominciare a cinquant’anni. Carlo Verdone tra Sordi e Woody Allen per L’amore è eterno finché dura, in sala dal 20 febbraio con 400 copie grazie a Medusa. Un oculista inquieto, sua moglie psicologa specializzata in terapie di coppia, l’amica agente immobiliare sentimentalmente incostante, l’amico chirurgo plastico troppo generoso: insomma, una carrellata di individui fragili che cercano il giusto spazio di manovra. Come due istrici bisognosi di coccole ma pronti a pungersi. In cartellone: Laura Morante e Stefania Rocca, affiancate da Antonio Catania, Rodolfo Corsato, Elisabetta Rocchetti, Gabriella Pession.
Verdone, perché parlare di crisi?
Il tema della crisi è nell’aria. In libreria a caccia di idee, con gli sceneggiatori Francesca Marciano e Pasquale Plastino, abbiamo fatto incetta di manuali e vademecum sul tema: come rimettersi in gioco, come recuperare con lei, ricominciare a 50 anni. Sulla mia agendina, almeno il 70% delle coppie di un tempo sono ormai separate. Che malinconia!
Il protagonista, come lei, è un cinquantenne.
E’ un’età strana. Quando ero piccolo io, un cinquantenne era fuori gioco. Ora con la palestra, la chimica, la chirurgia e il tenore di vita cresciuto non siamo più vecchi, ma neanche giovani. E spesso si ha voglia di ritrovare l’adrenalina di una volta.
Laura Morante è la moglie che si scopre “tradita” con un appuntamento al buio. Perché l’ha scelta?
È un’attrice autorevole, che ho amato nei film di Moretti. Tanto autorevole che al primo incontro, in una vineria, mi ha freddato. Imperturbabile come una mummia egizia ascoltò il mio racconto per poi rifiutare. Le ho spedito lo stesso la sceneggiatura e lei ha modificato il personaggio, rendendolo meno rigido e più umano, meno cinico.
Ma sempre sopra le righe, come nel film di Muccino.
Quello è un personaggio tragico, questo è ironico.
Verdone, lei sembra più sereno.
Sto meglio, a parte un volo con la moto e una piccola operazione subìta. Forse, dopo tanti anni, ho abbandonato il Verdone ipocondriaco e le gag, per una versione più matura. Mi sento come un chitarrista che sia passato dallo strumento elettrico a quello acustico.
Un ricordo di Alberto Sordi, a un anno dalla morte.
Passo spesso davanti a casa sua, ci sono sempre le tapparelle a ¾ come un tempo. I vitelloni, Una vita difficile, Lo sceicco bianco sono i suoi film che ricorderò sempre. Ormai è una maschera che fa parte della nostra storia. Ma se devo dedicare L’amore è eterno a qualcuno, lo dedico a Enrico Appetito, il mio operatore morto durante le riprese. E a mio padre, che mi ha trasmesso un grande rigore.
Nel film c’è molta attenzione anche alla figura della figlia adolescente, che resta un po’ schiacciata dalla separazione dei genitori.
La mancanza di dialogo e un’insofferenza di fondo porta al crollo del nucleo familiare e i primi a subirne le conseguenze sono i figli. Ma le nuove generazioni sono più attente, più etiche.
“L’amore è eterno” è il primo film prodotto da Cecchi Gori dopo i guai dell’imprenditore toscano.
Avevo un contratto con lui e l’ho voluto onorare al meglio, del resto Vittorio non ci ha fatto mancare nulla. Ora ci separeremo per un po’. Per prima cosa farò un film a episodi diretto da Giovanni Veronesi.
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