Carlo Mazzacurati: “Roma ci ha detto sì”


Sì è vero La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, prodotto da Fandango e Rai Cinema con il contributo del MiBAC, è stato bocciato dai selezionatori della Mostra di Venezia. Lo conferma lo stesso regista: “Abbiamo presentato una versione quasi definitiva, ma ci hanno detto di no. Non siamo arrabbiati con loro, semmai contenti perché questo rifiuto ci ha consentito di essere alla Festa del Cinema con un prodotto finale completo, avendo avuto un mese in più per rifinire il montaggio”. Al Lido gli hanno preferito, per la competizione, le opere di Marra, Porporati e Franchi che non hanno purtroppo aiutato il nostro cinema in casa, né l’hanno promosso all’estero. Eppure La giusta distanza, che esce domani in 100/110 copie distribuito da 01, rappresenta quel prodotto medio, spesso assente nella nostra cinematografia, capace di uno sguardo ironico e profondo della società italiana con i suoi vizi – tanti – e le virtù, poche.

La scrittura è quella tipica di Mazzacurati: schiva, malinconica e mai gridata. Gli attori sono ben scelti e guidati nel rappresentare quel lembo di provincia veneta, con i suoi abitanti un po’ schiacciati da un’apparente esistenza senza scosse: l’onesto meccanico tunisino (Ahmed Afiene), il giovane cronista alle prime armi (Giovanni Capovilla), il disincantato giornalista (Fabrizio Bentivoglio), il tabaccaio arricchito (Giuseppe Battiston), l’avvocato senza morale (Ivano Marescotti). Una piccola comunità il cui fragile equilibrio sarà rotto dall’arrivo della giovane Mara e dove l’immigrato, benché ben inserito, è comunque l’altro, il potenziale nemico.

 

Si è ispirato per la sua storia a fatti di cronaca recenti, come la strage di Erba, che hanno visto l’immigrato di turno subito additato da stampa e pubblica opinione come il colpevole?
Siamo partiti da una sensazione emotiva, sapendo del rischio che il nostro racconto sembrasse frutto della cronaca. Ma la nostra strada è stata un’altra. Nel film il male è infatti qualcosa di banale, che è altro da quella efferatezza che di solito viene enfatizzata dai giornali o resa narrazione seriale dalla fiction.
Il soggetto è arrivato in pochi giorni, è bastata una settimana insieme a Doriana Leondeff, di solito invece porto all’esaurimento nervoso gli sceneggiatori.

Ancora una volta in scena il Nordest.
Ho bisogno di un teatro d’azione che conosco bene per i miei film, come il delta del Po. Non mi piace il termine Nordest, che restituisce un cliché della provincia, mentre si tratta del Veneto con le sue radici più evocative, nonostante stia galoppando verso un altrove. Una provincia talvolta misteriosa, sconosciuta a se stessa, per riprendere un’espressione usata anni fa dallo scrittore Guido Piovene per la cronaca in radio del suo viaggio attraverso l’Italia. Certo ognuno racconta un mondo che conosce, ma con La giusta distanza spero di parlare anche a persone lontane da noi. La provincia è ormai anche un luogo esteso che si assomiglia, altrimenti come spiegare il fatto di riconoscermi, come è accaduto, in un film sulla provincia americana.

E’ tornato da poco a vivere in Veneto?
Dopo 18 anni di permanenza a Roma sono di nuovo a Padova, mia città natale. Subito mi sono messo in ascolto, ho cercato di percepire qual è lo stato delle cose. Questo mio film è anche la registrazione di uno sgomento e di un’inquietudine che si respirano nell’aria. I nativi mi sembrano più spiantati e sradicati degli immigrati. E mentre qualcuno enfatizza aspetti negativi come il non pagare le tasse, io invece sottolineo la loro infelicità.

E il meccanico Hassan come si colloca in questo scenario?
Mette in evidenza questo sradicamento, con la sua esperienza lavorativa ormai difficile da trovare. È un meccanico completo che ama il suo mestiere, capace di restaurare dall’inizio alla fine un’auto degli anni ’60, che ha in officina un dipendente italiano. Certo di fronte alla sofferta vicenda amorosa è diviso tra arcaicità e modernità.

Come ha scelto gli attori?
Seguendo l’istinto, spesso si ha l’impressione di incontrare qualcuno che avevi immaginato. Giovanni Capovilla non è un attore professionista, studia medicina, l’abbiamo cercato con un casting tra le scuole di Padova. Per il personaggio di Mara che tiene insieme delle forti tensioni tra di loro opposte, come la paura e nel contempo l’attrazione per l’immigrato Hassan, rischiando di essere poco credibile, è stata preziosa l’intensità emotiva di Valentina Lodovini.
 

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19 Ottobre 2007

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