Finalmente è riuscito a coronare un grande sogno inseguito a lungo: raccontare in immagini la storia e la vita di una donna straordinaria per lignaggio, posizione politica e modernità: Maria Josè, figlia dei reali del Belgio e sposa di Umberto di Savoia, principe ereditario d’Italia. Da trent’anni, infatti, Carlo Lizzani, uno dei maestri del nostro cinema, raccoglie e colleziona articoli, interviste, filmati, biografie su questa donna anticonformista e ribelle, in anticipo sui propri tempi, che visse l’ultimo atto della monarchia in Italia. Maria Josè: l’ultima regina, film-tv in due puntate, girato due anni fa, andrà in onda su Raiuno lunedì 7 e martedì 8 gennaio, a un anno dalla morte della 94enne regina.
Lizzani ha girato nel suo stile minimalista e senza orpelli un film d’amore e di grandi passioni politiche: non un santino angelicato, ma la vera storia di Maria José dall’adolescenza al ’46, anno dell’esilio.
Maria Josè: l’ultima regina, che chiude per Lizzani la trilogia storica avviata con Il processo di Verona e Mussolini ultimo atto, è prodotto da Rai Fiction con 7 miliardi e 7 e realizzato da Elio e Mauro Manni per “Progetto Immagine”. Il cast è di grande affinità e somiglianza coi personaggi interpretati: Maria Josè è una “regale” Barbora Bobulova, Umberto di Savoia è Alberto Molinari, Claudio Spadaro è Benito Mussolini, ruolo che già interpretò in Un tè con Mussolini di Zeffirelli, Ennio Fantastichini è Canotti Bianco, colui che favorì i contatti della regina con grandi intellettuali e scrittori.
Il film è stato girato in 11 settimane tra Torino, Napoli e Roma, nei Castelli sabaudi di Moncalieri, Racconigi, Alliè, Sorre, nel Palazzo Reale di Torino e nella partenopea Villa Rosbery (tutte location sotto la tutela dei Beni Culturali). “Girare nei castelli è costato 5 milioni a stanza al giorno, per una spesa di circa 400 milioni”, spiega il produttore Manni.
Allora Lizzani, com’è questa sua regina?
E’ un personaggio complesso, al centro di un periodo di gravi conflitti, dei quali fu protagonista assoluta, anche per il temperamento indipendente, il tormento sentimentale continuamente irrisolto nel rapporto col marito, di cui è innamorata fin da bambina. E’ una protofemminista, un personaggio che ha precorso i tempi, detestava la corte rigida un po’ come Diana d’Inghilterra. Era spinta da una grande ambizione di governare, ma in modo più democratico rispetto alla monarchia conservatrice di allora. La frase che la racchiude bene è: “Non sono monarchica, sono solo una regina”.
E suo marito, Umberto di Savoia, è un perdente?
Anche Umberto di Savoia, il più bel principe d’Europa, è una figura che mi ha sempre affascinato per la sua rigida soggezione al padre e al tempo stesso il suo vagheggiare una vita libera. E’ un piccolo Amleto, soffocato dall’educazione rigida. Subì spinte contraddittorie, da Mussolini, dal re, dalla madre, dalla moglie: questo ne fa un personaggio tipico del ‘900.
Che messaggio dà con questo film?
Se la storia politica di Maria Josè, dalle nozze all’esilio, si conclude con una sconfitta, non va così la sua storia umana. Secondo i miei autori, Nicola e Giuseppe Badalucco e Franca De Angelis, il film vuole essere soprattutto il ritratto di una donna coraggiosa in cui tante potranno riconoscersi, anche se lo scenario fastoso è ormai cancellato dalla storia.
Perché ha scelto la strada della fiction? Fin dalla mia direzione della Mostra del cinema di Venezia portai all’attenzione del pubblico le grandi fiction di Visconti e Fassbinder. La fiction dà la possibilità a chi racconta per immagini di essere come uno scrittore che scrive mille pagine invece di 200. Il linguaggio delle immagini attraverso la tv è più libero e comunque oggi il cinema non ha i mezzi per investire sulla storia come questa.
Un film su Maria Josè: un sogno che lei accarezzava da tempo…. Sì. L’idea l’avevo avuta già dopo il ’64. Il film si sarebbe dovuto intitolare La caduta dei Savoia: il progetto non decollò per la poca popolarità di temi del genere. Mi ricordo che allora pensai a Ingrid Bergman e Maximilian Schell. Dieci-quindici anni dopo volevo Vanessa Redgrave e Marcello Mastroianni, negli ’80 Dominique Sanda. Ora ho scelto la Bobulova, che è bravissima. Ringrazio Arrigo Petacco: dalla sua biografia Regina abbiamo tratto gli elementi essenziali della storia.
Cosa pensa del cinema italiano attuale?
E’ molto vivo ma comunque non paragonabile a quello degli anni ’70, delle commedie all’italiana e del neorealismo. A quei tempi, seppur con grandi rivalità, c’era una squadra e il cinema è identificabile quando c’è questo. Oggi ognuno fa storia a sé, manca un orizzonte comune.
Domanda d’obbligo: è favorevole al rientro dei Savoia in Italia?
Assolutamente indifferente! Ma le colpe dei padri non devono ricadere sui figli!
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