CARLO & ENRICO VANZINA


“Dottor Varenne, se tutti i cavalli fossiro come lei, noi vinceressimo sempre”. Mandrake, in arte Bruno Fioretti, giocatore ai cavalli e perdigiorno, parla con il cavallo più forte del mondo, Varenne. Così Gigi Proietti, protagonista di Febbre da cavallo, cult diretto nel 1976 da Steno, presenta il seguito: Febbre da cavallo due–La Mandrakata.
A dirigere il sequel i figli Enrico e Carlo Vanzina, in questi giorni all’ippodromo di Tor di Valle per le riprese.
“E’ incredibile il successo del film di nostro padre – racconta Carlo – Quando uscì in sala,26 anni fa, Febbre da cavallo andò benino, ma non suscitò clamore.Poi a 15 anni dalla sua uscita, il pubblico ha iniziato ad adorare questo film. E’ un fenomeno strano, è come se fosse uscito due anni fa”.
Ai vecchi personaggi, come il Pomata (Enrico Montesano) e Mandrake (Gigi Proietti), si affiancano Nancy Brilli, una comparsa ‘strappona’ di Cinecittà che vuole fare l’attrice, un’altra padrona di un bar che prende il ruolo che fu di Catherine Spaak, Lauretta (Emanuela Grimalda), poi Micione (Rodolfo Laganà), l’Ingegnere (Andrea Ascolese) e Antonio Faiella (Carlo Buccirosso). Il film, costato in tutto 4 milioni di €, per la metà è coprodotto da Warner Bros. Italia e per il resto da Solaris International e Video 80. Uscirà nelle sale a metà novembre. Si spera senza “senza rischio”. “Come un whisky maschio”, direbbe Mandrake.

Come mai “Febbre da cavallo” ha creato tanti adepti negli ultimi anni?
Enrico Vanzina. Il successo tardivo forse proviene dal fatto che negli anni ’70 si facevano commedie slegate dalla realtà. C’erano i film di Castellano e Pipolo, sul genere dei telefoni bianchi con Adriano Celentano. Febbre da cavallo si discostava perché riprendeva la commedia all’italiana anni ’50 dove si dava importanza anche ai piccoli personaggi e il meccanismo della risata si innescava su fatti semplici. Febbre da cavallo fa simpatia e tenerezza perché racconta un gruppo di perdenti. Come per tutte le grandi commedie, dietro questa storia si nasconde la grande tragedia. Io e Carlo ritorniamo a quel modello, ma non sarà un film nostalgico.

Perché fare un seguito di “Febbre da cavallo” proprio ora?
Enrico. E’ stato proprio chiamato dal pubblico. Molte persone tengono la videocassetta vicino al videoregistratore e quando sono depressi se la riguardano. Il film è un vero e proprio ‘cult’. E’ la gente che ci ha chiesto di scrivere e dirigere questo film. Nel Lazio è uscita la sceneggiatura del primo film e ha venduto in poco tempo 7mila copie. E’ un dato che fa riflettere. In un momento in cui non c’è un’evoluzione della commedia all’italiana, noi riprendiamo un vecchio modello e lo miglioriamo. Ma La mandrakata è anche un omaggio a nostro padre. Stiamo girando alla Steno.

Come vi sentite a dirigere il seguito del film di vostro padre?
Carlo. Febbre da cavallo è diventato talmente un ‘cult’ che sarà difficile eguagliarlo.
Enrico. Tanti segnali ci hanno portato a questa decisione. Quando ero ragazzo scommettevo sulle corse dei cavalli poi ho smesso. Sono ritornato a Capannelle lo scorso anno e il primo cavallo che correva si chiamava proprio Soldatino (il nome del cavallo su cui scommetteva Mandrake, ndr). Ho puntato su di lui e ho vinto. A quel punto ho girato gli occhi al cielo, mi è proprio sembrato che ci fosse lo zampino di mio padre su questa faccenda.

La colonna sonora rimarrà la stessa?
Sì. E’ troppo legata alla “Febbre da cavallo”.

autore
04 Luglio 2002

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