Carlo Di Palma


Il cinema si è fermato per rendere omaggio a Carlo Di Palma. Tutti i nomi che contano, Woody Allen in testa, sono entrati in processione al Guggenheim Museum di New York, per essere vicini al maestro della fotografia che ha ricevuto l’Italia Cinema Life Achievement.
Umile, emozionato, Di Palma è entrato nel cuore di uno dei templi dell’arte contemporanea con i suoi 76 anni appena compiuti e le sue mani che hanno immortalato molti capitoli della storia del cinema mondiale. Immagini che proprio in questi giorni, la rassegna “Conversazioni tra l’ombra e la luce” allestita al Guggenheim ha consacrato nel segno dell’arte.

Per lei che ha ricevuto un’infinità di premi, che significato ha questo riconoscimento?
Mi hanno chiamato “artista” e “genio”. E’ incredibile, semplicemente incredibile. Ricevere un premio alla carriera dalle mani da tutti i nomi più importanti del mondo della cultura e del cinema è un’emozione straordinaria, che mi ha toccato profondamente.

Quali sono i momenti della sua carriera che ricorda con più emozione?
Ero un ragazzino quando ho lavorato con Luchino Visconti: lo seguivo e lui mi diceva cosa fare. Ho imparato da lui, ascoltando i suoi consigli. Difficile dimenticare una cosa del genere. E poi c’è stata l’emozione infinita di Deserto Rosso, di Michelangelo Antonioni, il mio primo film a colori. Questi due momenti sono indimenticabili, ogni film ha la sua storia e in ognuno ho messo lo stesso amore, la stessa commozione che ho provato la prima volta.

Perché, secondo lei, i direttori della fotografia italiani sono tanto apprezzati nel mondo?
Forse perché il nostro paese è talmente bello che noi siamo abituati a trattare le cose con cura, con un tocca da pittori. Perché in fondo questo mestiere assomiglia proprio a quelli dei pittori. Loro hanno una tela bianca in cui debbono mettere tutto: i loro colori, le forme. La tela di un direttore della fotografia, invece, è piena di cose e noi dobbiamo, levare, togliere, fino a quando rimane soltanto quello che è importante per il racconto, finché non rimanga più nulla che possa distrarre l’occhio dalle cose essenziali.

Un procedimento che è cambiato con le nuove tecnologie?
Assolutamente no. Attenzione: le nuove tecnologie sono importantissime e vanno imparate, guai a rimanere indietro. Ma sono solo strumenti: sono loro che sono al nostro servizio e non il contrario. Altrimenti si perde l’arte.

C’è qualche sogno che non ha ancora realizzato?
No, sarò stato fortunato o forse me lo sarò guadagnato. Ma tutti i film che ho fatto mi hanno dato qualcosa e ora non ho rimpianti di nessun tipo, non mi manca niente. Posso stare anche uno o due anni senza lavorare.

Crede anche lei che questo sia un momento particolarmente felice per il cinema italiano
Assolutamente sì. In passato ci sono stati momenti difficili, ma nell’arte questi periodi sono fisiologici. Quello che è importante, adesso, è che ora sia tornato l’amore e l’amicizia per il cinema.

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01 Giugno 2001

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