Prendo in mano “Il Messaggero” di domenica 1° luglio, lo apro sulla pagina dei “flani”. Vi svettano Pearl Harbor e Shrek presenti in 21 e, rispettivamente, 25 sale. Il terzo titolo però non è pubblicizzato lo si deve ricercare nei “tamburini”. E’ “Chiusura Estiva” presente su 23 schermi. Questa è allo stato attuale la situazione di Roma. Ho buoni motivi per credere che nelle altre città, dove il cinema “tira” meno che nella Capitale, la “Chiusura Estiva” prevalga su ogni altro titolo, a dispetto dei tanti buoni propositi di far durare la stagione cinematografica dodici mesi, come negli altri paesi.
Dunque l’anomalia italiana è insanabile? Sta scritto nel DNA dello spettatore italiano che il cinema in sala è da evitare nei mesi estivi? Parrebbe di sì, dato che il fenomeno dura da sempre. Si verificava anche in tempo di guerra, quando mancava la benzina e la seconda casa fuoriporta era comunque privilegio di pochi. Ma è pure vero che l’anno scorso qualche passo in senso contrario era stato fatto. Gli americani avevano rischiato l’uscita di Mission Impossible 2 a luglio con risultati “invernali” al botteghino, mentre Pane e tulipani, trionfatore ai David di Donatello, provvidenzialmente anticipati rispetto alle precedenti edizioni, aveva potuto godere di un insperato prolungamento di stagione.
Quest’anno il miracolo non sembra ripetersi; almeno non nella misura dell’anno scorso, poiché gli americani sono in ribasso su tutti i piani, mentre gli europei, con gli italiani in prima fila, sono restii a tentare alcunché. Gli imprenditori sperano in un intervento finanziario dello Stato, che ragionevolmente non intende intervenire in assenza di una proposta attendibile. Dato e non concesso, oltretutto, che finanziamenti del genere siano giustificabili a sostegno di programmi che dovrebbero essere a rischio, oltre che a iniziativa, dei distributori e degli esercenti. In compenso tutto, allo stato attuale, favorisce la diffidenza del pubblico a frequentare d’estate le normali sale cinematografiche. Nulla si fa, infatti, per smentire la diffusa, quanto errata convinzione che l’estate sia il paradiso dei “fondi di magazzino”. Per primi i mass media si uniformano nel rispettare questa che ormai è una pura leggenda. Sospendono la loro uscita certi settimanali locali di promozione, quali il romano “L’Acchiappafilm”. Sospendono le rubriche di critica cinematografica alcuni settimanali popolari (lo ha già fatto “Donne”, l’inserto del martedì di “Repubblica”). La tivvù interrompe le proprie trasmissioni-contenitore, che hanno il compito dì promuovere il cinema. Le riprenderanno in autunno.
Anche se dubitiamo del contributo di tali rubriche alla crescita del numero di spettatori, la loro sospensione ha certamente un effetto psicologico: come dire, pure a coloro che non le leggono, che in questa stagione nulla c’è di valido, che valga la pena di annunciare, di recensire, non importa se positivamente o negativamente. Invece, può capitare che proprio in questi mesi ci sia il più alto numero di film d’indiscussa qualità. Non stiamo raccontando delle favole. Basta aprire qualche settimanale o mensile popolare specializzato, quali “Film-TV” o “Ciak”: le pellicole onorate dal pollice eretto e da un congruo numero di palline sono certamente più numerose che a Natale. Concretamente: nell’ultima decade di giugno sono usciti film belli e importanti come La ciénaga, My generation, Operai, contadini, Ritorno a casa, Vengo e Yi Yi (tralasciamo di citarne i meriti, scrupolosamente elencati nelle pubblicazioni dianzi citate); nell’arco di luglio e agosto sono previsti inoltre L’anguilla di Shohei Imamura, che finalmente approda sui nostri schermi dopo avere preso la “Palma d’oro” due anni fa a Cannes; The Yards, opera seconda di James Gray, l’autore di Little Odessa, uno dei più solidi “crime movie” di questi ultimi anni; Figlio di due madri dell’infaticabile Raul Ruiz con Isabelle Huppert (in concorso l’anno scorso a Venezia); Parola e utopia dell’altrettanto infaticabile, ultranovantenne de Oliveira (anch’esso in concorso l’anno scorso a Venezia); due premiate opere prime quali Tutta colpa di Voltaire di Abdel Kechiche e Djomeh dell’iraniano Hessan Yektapanah; l’africano Adanggaman di Roger Gnoan M’Bala (quel po’ d’Africa, che arriva sui nostri schermi, è sempre una garanzia).
Si dirà che sono prodotti “di nicchia”, adatti per palati quanto mai sofisticati. E’ vero. Ma proprio per questo andrebbero ben distinti dai residui di listino, dei “fondi di magazzino” di cui le società di distribuzione si liberano in questa stagione. Insieme a un numero leggermente più nutrito dì blockbuster hollywoodiani, potrebbero contribuire a tenere viva la stagione estiva, coprendo tutto l’arco di sale, dai multiplex ai cinema d’essai. Esattamente come avviene negli altri paesi.
E i film italiani? Qui la proposta diviene più ardua. Difficile al momento immaginare un film italiano, supposto di successo, che snobbi in questa stagione un festival per uscire direttamente in sala. Intanto cerchiamo di rendere la stagione più ordinata e appetibile. Poi si vedrà.
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