Robert Rodriguez, James Cameron e anche un pizzico di Guillermo del Toro – che per primo segnalò il progetto al regista di Terminator – confluiscono in Alita – Angelo della battaglia, action epico-cyberpunk in uscita con Fox il 14 febbraio. Ed è una data adatta, trattandosi anche di una storia d’amore romantica e con sfumature young adult.
Nel cast ci sono Christoph Waltz, Jennifer Connelly, Ed Skrein, Mahershala Ali e Michelle Rodriguez. E poi naturalmente Rosa Salazar, la protagonista, che di young adult ha esperienza venendo da Divergent e Maze Runner, qui resa irriconoscibile da un trucco digitale che le allarga gli occhi rendendola al contempo simile a un manga e a un alieno, cosa che in effetti è, e si tratta di una delle tante buone trovate che giustificano sul piano narrativo elementi nati soprattutto per esigenze di carattere grafico ed estetico. Ma partiamo dall’origine.
Che è il manga di Yukito Kishiro del 1990. Si chiamava ‘Gunnm’, ma gli americani che lo importarono (così come i paesi d’Europa tra cui il nostro) cambiarono il nome a fumetto e protagonista, trovando il suono troppo gutturale per una creatura angelica – per quanto letale – come lei. Alita/Gunnm è una cyborg, gettata via in una discarica da una città volante, la cui testa viene ritrovata da uno scienziato che la impianta sul corpo cibernetico costruito originariamente per la figlia malata. Già in queste prime righe di sinossi si accumulano elementi. Col proseguire della trama, Alita prende coscienza di sé stessa, prima come guerriera, poi come arma letale, si innamora, diventa cacciatrice di taglie e anche campionessa dello sport futuristico Motorball. Il tutto nel corso di una lunga serie di pubblicazioni cartacee che dura ancora oggi.
Quando Cameron ne venne a conoscenza, grazie all’amico messicano, si innamorò del concetto del manga, in effetti vicino a molte delle tematiche da lui amate (pensiamo alla robotica in Terminator, o al rapporto tra coscienza e corpo esplorato in Avatar), tanto che anche la serie televisiva da lui prodotta, Dark Angel, ne risultava pesantemente influenzata, tanto da far pensare a un ‘quasi remake’ non ufficiale. La 20th Century Fox registrò il nome di dominio “battleangelalita.com” a nome di James Cameron intorno al giugno 2000. Nell’aprile 2003 ‘Moviehole’ riportò che Cameron avrebbe diretto un film su Alita, curandone anche lo script. Più volte posticipato, soprattutto per problemi di budget, con a bordo anche il co-produttore Jon Landau e infine il regista Robert Rodriguez, ingaggiato da Cameron per riassumere e combinare le 186 pagine di sceneggiatura scritte da lui scritte, il progetto arriva fino ai giorni nostri. Nel mezzo, un OAV animato di due puntate, che condensava molti degli elementi del fumetto e sulla cui struttura si basa anche il film, che alla fine esce fuori forse un po’ troppo carico di temi, trame e sottotrame e difficile da seguire, per quanto non manchi di momenti epici, spettacolari e visivamente interessanti, in un 3D che ormai appare come un vezzo retrò più che come un effetto all’avanguardia ma che non può mancare – ed è ben fatto – in un film dove ha messo le mani il creatore di Avatar, che questa tecnologia l’ha rivoluzionata e ripresentata al mondo a suo tempo con grande successo. Bello da vedere, il film ha molte storie da raccontare, ma sembra faticare a sceglierne una.
Viso delicato infilato in un corpo da colosso, classico emblema di eroina forte e protagonista che piace a Cameron (vedasi Sarah Connor, ma anche la principessa Neytiri) ma anche al pubblico moderno e in particolare alla nuova frangia nerd femminile venutasi a costituire negli ultimi decenni, Alita guarda il ragazzo che ama con i suoi occhi grandi e, in una delle scene più significative, gli offre letteralmente il cuore, staccandoselo dal petto e portandolo davanti agli occhi di lui. E’ l’emblema della sua fragilità, dietro l’apparenza indistruttibile. Ed è lei a salvare costantemente il ‘principe’, che è piano di debolezze sia dal punto di vista fisico che da quello morale. E viene da chiedersi se lei non lo ami proprio per questa sua imperfezione di fondo, che lo rende più umano che mai.
“Alita si sente insignificante – ha detto Rodriguez – ricordare chi era, diventare potente… sono tutte cose molto umane che faranno pensare agli spettatori: ‘mi identifico in quelle situazioni'”. “L’intenzione di Jim è stata sempre quella di creare una versione fotorealistica degli occhi dei manga che siamo così abituati a vedere – ha affermato in un’altra intervista – Volevamo davvero onorare quella tradizione e vedere quello sguardo accanto a personaggi umani. Avere la persona giusta dietro quello sguardo era davvero essenziale. Le sue origini sono nel film e capisci perché appare così. Se gli occhi sono le finestre dell’anima, abbiamo delle finestre piuttosto grandi. Puoi vedere molte cose lì dentro! Quando arriva alle scene emotive è davvero inquietante, sorprendente e accattivante!”
Infine un aneddoto su come è stato coinvolto nel progetto: “Quando Avatar è diventato il più grande film di tutti i tempi, Cameron mi ha detto che avrebbe passato il resto della sua carriera a fare Avatar, così ho detto: “Allora cosa succede a Alita?”, perché ero interessato solo come fan! E lui disse: “Non penso che potrò mai farlo. Ehi, se riesci a sistemare la sceneggiatura, puoi girarlo!”. Così l’ho portata a casa, ho passato tutta l’estate a lavorarci sopra, l’ho ridotta a 130, 125 pagine, senza tagliare nulla di ciò che non fosse strettamente necessario. È stato un grande regalo. Ci siamo divertiti molto; ogni volta che avevo una domanda, potevo semplicemente chiamarlo o inviargli una e-mail e lui mi inviava risposte estremamente dettagliate che erano molto utili. Lui ama essere il produttore che avrebbe sempre voluto avere”.
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